Secondo Modello di Relazione Deontologica

RELAZIONE DEONTOLOGICA

 

Tra le varie problematiche deontologiche che possono interessare l’attività forense espletata da un avvocato nel corso di un giudizio civile, particolarmente delicata e purtroppo frequente è quella a cui ho avuto modo di assistere personalmente.

Nel corso di una causa civile, avente ad oggetto una  richiesta di risarcimento danni da infiltrazioni di acqua piovana all’interno di un appartamento sito all’ultimo piano di uno stabile di cinque piani, l’avvocato che agiva per conto degli attori allegava, tra i documenti da produrre in giudizio, una missiva inviata da collega di controparte contenente una proposta transattiva volta a definire la causa pendente i via bonaria ed emessa solo ed esclusivamente quale semplice proposta di accordo risolutivo;

missiva che, perdippiù, recava in neretto e ben visibile  la dicitura “Riservata e non producibile in giudizio”.

Di fatti l’avvocato attore, nel produrre tale lettera voleva subdolamente far intendere al giudicante che la controparte nel richiedere in via transattiva una somma di denaro di gran lunga inferiore a quella richiesta in giudizio di fatto palesava un concorso, da parte del proprio cliente, nella causazione dell’evento  lesivo.

Tale comportamento, integra esplicitamente, in tutto e per tutto, gli estremi della violazione dell’art. 28 del codice deontologico il quale prevede il divieto di produrre la corrispondenza scambiata con il collega e, nello specifico, adatto al caso di specie, nel primo comma si sancisce palesemente che “non possono essere prodotte o riferite in giudizio le lettere qualificate riservate e comunque la corrispondenza contenente proposte transattive scambiate con i colleghi”.

In teoria e stante al tenore letterale dei commi successivi dell’art. 28, l’avvocato degli attori avrebbe potuto produrre, in giudizio, solo ed esclusivamente la corrispondenza intercorsa con il collega nel caso di accordo perfezionato, di cui la stessa corrispondenza costituisca attuazione o, al più, quella che assicuri l’adempimento delle prestazioni richieste.

In conclusione il comportamento tenuto non può certo essere considerato giusto e leale avendo non solo violato una normativa del codice deontologico, nello specifico la violazione dell’art. 28,  ma anche e soprattutto, si è tenuto un comportamento scorretto e poco professionale nei confronti di un proprio collega.

ROMA                Dott. Sempronio Sempronio

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