“RISARCIMENTO DA MANCATA ATTUAZIONE DI DIRETTIVE COMUNITARIE” Trib. Roma, sez. II, 15 marzo 2011, gu. Pontecorvo

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI ROMA

SECONDA SEZIONE CIVILE

In composizione monocratica in persona del giudice dr. Lorenzo Pontecorvo ha emesso la seguente

SENTENZA

nella causa civile di primo grado iscritta al n. 85536 del R.G.A.C.C. dell’anno 2008, trattenuta in decisione nell’udienza del 25.11.2010 e vertente

TRA

1) Ab.Re. ed altri + 363, tutti rappresentati e difesi dall’Avv. Ma.To., ed elett.te domiciliati in Roma, come da procura in atti.

Attori

CON

1) Ac.An. ed altri + 491, tutti rappresentati e difesi dall’avv. Ma.To., ed elett.te domiciliati in Roma, come da procura in atti;

Intervenuti

E

Presidenza del Consiglio dei Ministri, in persona del Presidente del Consiglio dei Ministri, Ministero dell’Istruzione dell’Università e della Ricerca, Ministero dell’Economia e delle Finanze e Ministero del Lavoro, della Salute e Delle Politiche Sociali, elett.te dom.ti in Roma, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che li rappresenta e difende ex legge

Convenuti


Svolgimento del processo

 

Con citazione ritualmente notificata, gli attori, quali laureati in medicina e chirurgia, ammessi, in data anteriore all’anno accademico 1991/1992, alle scuole di specializzazione presso università statali, hanno convenuto in giudizio le Amministrazioni in epigrafe per sentirli dichiarare responsabili per non avere attuato, nei termini stabiliti, le direttive del Consiglio Cee n. 362/75, 363/75 e 82/76 nonché l’art. 44 della direttiva 16/93 in materia di formazione dei medici specialisti e dei relativi corsi di specializzazione.

Quale conseguenza di una tale declaratoria, gli attori hanno chiesto la condanna dei convenuti – anche a titolo di risarcimento, ai sensi dell’art. 2043 c.c. – alla corresponsione della remunerazione prevista dalle norme comunitarie tardivamente attuate, rapportata alla retribuzione non corrisposta per ogni anno accademico di specializzazione, incluso il maggior danno, ai sensi dell’art. 1224 c.c..

Gli istanti hanno, altresì, chiesto la condanna dei convenuti al risarcimento dei danni per il mancato riconoscimento del punteggio aggiuntivo previsto dall’art. 4, comma 7, D.Lgs. 257/91.

L’articolo richiamato, per quanto qui rileva, attribuisce al diploma conseguito dai frequentatori dei corsi di specializzazione, a decorrere dall’anno accademico 1991 – 1992, la qualità di titolo da valutare separatamente e con specifico punteggio nei concorsi d’accesso ai profili professionali medici.

In via ulteriormente gradata, gli attori hanno chiesto di liquidare un equo indennizzo per arricchimento senza causa, in relazione al risparmio di spesa conseguito dall’Amministrazione per l’utilizzo delle prestazioni professionali rese.

A sostegno delle pretese azionate hanno esposto che, al tempo della loro ammissione alla scuola di specializzazione, la Repubblica Italiana non aveva ancora trasposto nell’ordinamento interno le direttive del Consiglio n. 362/75, 363/75 e 82/76 contenenti disposizioni per l’adeguamento delle normative degli Stati membri in materia di formazione dei medici specialisti.

Hanno, in particolare, assunto che, attraverso le predette direttive, era stato riconosciuto il diritto dello specializzando a percepire per tutta la durata del corso – sia nell’ipotesi di formazione a tempo pieno che a tempo definito – un’adeguata remunerazione.

Lo Stato, tuttavia, avrebbe omesso di dare attuazione alle direttive entro il termine stabilito (1.1.1983), ed avrebbe recepito la normativa comunitaria con il D.Lgs. n. 257 dell’8.8.1991, limitandone illegittimamente l’applicazione ai medici ammessi ai corsi di specializzazione in epoca successiva all’anno accademico 1990 – 1991.

L’art. 8 aveva, infatti, previsto che le disposizioni del decreto dovessero essere applicate solo a decorrere dall’anno 1991/1992.

Si sono costituite le Amministrazioni sostenendo il proprio difetto di legittimazione passiva in considerazione della mancanza di soggettività giuridica nell’attuazione del diritto comunitario, in rappresentanza, anche processuale, dello Stato italiano. Hanno, altresì, eccepito la prescrizione dei diritti vantati, indicando, a tal fine, sia la prescrizione decennale sia quella quinquennale, in subordine a quanto statuito dall’art. 2948 n. 4 c.c., in ragione della periodicità delle prestazioni legate alle borse di studio.

Nel merito hanno sostenuto l’inesistenza di ritardi imputabili e la mancanza delle condizioni stabilite per l’erogazione della borsa di studio.

Successivamente, altri laureati in medicina e chirurgia hanno spiegato intervento adesivo autonomo e, facendo valere la medesima posizione degli attori, hanno presentato le medesime conclusioni.

All’esito dell’istruttoria la causa è stata trattenuta in decisione sulle conclusioni precisate dalle parti all’udienza in epigrafe indicata.

Motivi della decisione
Preliminarmente deve essere osservato come le pretese dirette a conseguire i benefici previsti dalla direttiva comunitaria sono suscettibili di tutela essendo riferibili ad un interesse sostanziale sufficientemente determinato quanto al contenuto ed ai soggetti, che, se pure intrinsecamente correlato al perseguimento di finalità pubbliche (e condizionato dalla organizzazione dei corsi di specializzazione medica), è senza dubbio meritevole di tutela.

Ciò premesso, in primo luogo devono essere risolte le questioni pregiudiziali relative all’ammissibilità dell’atto di intervento ed alla legittimazione passiva dei convenuti.

L’ammissibilità dell’intervento (contestata dall’Amministrazione a verbale dell’udienza del 28 maggio 2009) deve essere affermata avendo i soggetti intervenuti fatto valere nei confronti delle originarie parti convenute un diritto relativo all’oggetto e/o dipendente dal titolo dedotto nel processo. In altre parole gli intervenuti costituitisi successivamente nel corso del giudizio hanno inteso far valere un loro diritto autonomo ma connesso a quello azionato dalle parti attrici sotto il profilo sia dell’oggetto (accertamento della responsabilità della convenuta pubblica amministrazione e consequenziali statuizioni), che della medesima causa petendi (fatto omissivo – commissivo ascrivibile, secondo la prospettazione attorea, all’Amministrazione). In conclusione, quello effettuato in corso di causa deve più esattamente qualificarsi come intervento adesivo autonomo o litis – consortile, intervento tipico del soggetto terzo rispetto all’originario rapporto processuale che ben avrebbe potuto fin dall’inizio agire ex art. 103 c.p.c. nello stesso processo attesa la dipendenza della decisione da identiche questioni.

Venendo alla questione della legittimazione passiva dei soggetti convenuti nel presente giudizio, deve essere dichiarato il difetto di tale presupposto processuale per tutti i Ministeri convenuti, e ciò per quanto di ragione.

Come recentemente rilevato dalla Suprema Corte con la sentenza 9147/2009, prima del loro recepimento nell’ordinamento interno, avvenuto con la legge n. 428 del 1990 e con il D.Lgs. n. 257 del 1991, le direttive Cee 362/75 e Cee 82/76 (le quali prevedevano l’adeguata remunerazione per la partecipazione alle scuole di specializzazione di facoltà mediche che comportasse lo svolgimento delle attività mediche del servizio in cui si effettuava la specializzazione, con dedizione a tale formazione pratica e teorica per l’intera settimana lavorativa e per tutta la durata dell’anno secondo le disposizioni fissate dalle autorità competenti) non erano applicabili nell’ordinamento interno in considerazione del loro carattere non dettagliato, che – come precisato anche dalla Corte di Giustizia Ce, sentenza 25 febbraio 1999, causa C-131/97 – non consentiva al giudice nazionale di identificare il debitore tenuto al versamento della remunerazione adeguata, né l’importo di quest’ultima. Tuttavia, la mancata trasposizione della normativa comunitaria fa sorgere, conformemente ai principi più volte affermati dalla Corte di giustizia, il diritto degli interessati al risarcimento del danno cagionato per il ritardato adempimento, consistente nella perdita della chance di ottenere i benefici – essenziali per consentire un percorso formativo scevro, almeno in parte, da preoccupazioni esistenziali – resi possibili da una tempestiva attuazione delle direttive medesime (Cass. 11 marzo 2008, n. 6427; 9842 del 2002).

La Suprema Corte, quindi, nell’osservare che, per risultare adeguato al diritto comunitario, il diritto interno deve assicurare una congrua riparazione del pregiudizio subito dal singolo per il fatto di non aver acquistato la titolarità di un diritto in conseguenza della violazione dell’ordinamento comunitario, ha ricordato che a) anche l’inadempimento riconducibile al legislatore nazionale obbliga lo Stato a risarcire i danni causati ai singoli dalle violazioni del diritto comunitario; b) il diritto al risarcimento deve essere riconosciuto allorché la norma comunitaria, non dotata del carattere self – exeatting, sia preordinata ad attribuire diritti ai singoli; e) la violazione sia manifesta e grave e ricorra un nesso causale diretto tra tale violazione ed il danno subito dai singoli, (fermo restando che è nell’ambito delle norme del diritto nazionale relative alla responsabilità che lo Stato è tenuto a riparare il danno); d) il risarcimento del danno non può essere subordinato alla sussistenza del dolo o della colpa; e) il risarcimento deve essere adeguato al danno subito, spettando all’ordinamento giuridico interno stabilire i criteri di liquidazione, che non possono essere meno favorevoli di quelli applicabili ad analoghi reclami di natura interna, o tali da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento; f) il risarcimento non può essere limitato ai soli danni subiti successivamente alla pronunzia di una sentenza della Corte di Giustizia che accerti l’inadempimento.

Sulla base di tali principi la Suprema Corte ha ritenuto di dover dare continuità all’indirizzo della giurisprudenza, secondo cui “I profili sostanziali della tutela apprestata dal diritto comunitario inducono a reperire gli strumenti utilizzabili nel diritto interno fuori dallo schema della responsabilità civile extracontrattuale e in quello dell’obbligatone ex lege dello Stato inadempiente, di natura indennitaria per attività non antigiuridica, che il giudice deve determinare in base ai presupposti oggettivi sopra indicati, in modo che sia idonea a porre riparo effettivo ed adeguato al pregiudizio subito dal singolo77 e che “(…) per realizzare il risultato imposto dall’ordinamento comunitario con i mezzi offerti dall’ordinamento interno, si deve riconoscere al danneggiato un credito alla riparazione del pregiudizio subito per effetto del c.d. fatto illecito del legislatore di natura indennitaria, rivolto, in presenza del requisito di gravita della violazione ma senza che operino i criteri di imputabilità per dolo o colpa, a compensare l’avente diritto della perdita subita in conseguenza del ritardo oggettivamente apprezzabile e avente perciò natura di credito di valore, rappresentando il danaro soltanto l’espressione monetaria dell’utilità sottratta al patrimonio”.

Alla luce di una tale ricostruzione che, oltre ad escludere il carattere self – executing delle norme comunitarie in questa sede invocate (prima del loro recepimento nell’ordinamento interno, avvenuto con la l. n. 428 del 1990 e con il D.Lgs. n. 257 del 1991, le direttive Cee 362/75 e Cee 82/76 non erano applicabili nell’ordinamento interno in considerazione del loro carattere non dettagliato), configura l’esistenza di una obbligazione ex lege dello Stato inadempiente di natura indennitaria per attività non antigiuridica ed ipotizza il c.d. fatto illecito del legislatore di natura indennitaria – valutazioni queste ribadite con la recente decisione della Suprema Corte n. 5842 del 2010, che questo giudice ritiene di dover condividere – è escluso che dei comportamenti in questa sede lamentati debbano rispondere l’Università (in questa sede non evocata) oppure il Ministero convenuto, non avendo gli stessi alcun potere o competenza nell’attuazione di normative comunitarie.

Valutando pertanto le domande proposte dagli attori nei confronti della sola presidenza del Consiglio dei Ministri è da considerare che la lamentata condotta illecita dello Stato che avrebbe prodotto un danno suscettibile di valutazione patrimoniale pur essendo astrattamente idoneo alla produzione di un pregiudizio patrimoniale non è ex se sufficiente all’accoglimento della domanda attorea, neppure sotto il profilo della sottrazione di occasioni vantaggiose, in quanto non esonera gli attori dall’onere di fornire la prova della possibilità perduta, né del pari la richiesta di una liquidazione equitativa del danno integra una “relevatio ab onere probandi” (cfr. Cass 27.12.1994 n. 11202; Cass II sez. 10.4.2000 n. 4487 in USI Mass civ. Corte cass. riv. 535486).

Ciò premesso, con riguardo alla richiesta di riconoscimento della remunerazione in favore dei frequentatori dei corsi di specializzazione iniziati prima dell’anno accademico 1991/1992 – anche a titolo di risarcimento, ai sensi dell’art. 2043 c.c. – sono da ritenersi ampiamente prescritte le pretese azionate con l’atto di citazione e con l’atto di intervento adesivo autonomo e ciò alla luce delle rispettive domande giudiziali notificate solo nel mese di dicembre 2008 e aprile 2009, essendo già maturato il termine decennale che, come di recente statuito dalle SSUU della Suprema Corte con sentenza n. 9147/2009, dovrebbe essere rapportato ad una obbligazione ex lege di natura indennitaria riconducibile come tale all’area della responsabilità contrattuale.

Come noto, infatti, l’articolo 2935 c.c. prevede, in via generale, che la prescrizione comincia a decorrere dal giorno in cui il diritto può essere fatto valere.

Avuto riguardo a tali principi occorre nel caso concreto fare riferimento al più tardi alla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 257/1991 che testualmente recita: “Le disposizioni del presente decreto si applicano a decorrere dall’anno accademico 1991 – 1992”.

In tale data, infatti, è stata introdotta – con effetti apprezzabili dagli interessati – la nuova disciplina che, per espressa previsione legislativa, avrebbe dovuto applicarsi ai soli frequentatori dei corsi di specializzazione iniziati a decorrere dall’anno accademico 1991/1992 (v. sul punto anche Cons. Stato n. 2090/1999).

Alla stessa data, poi, lo Stato, con la normativa richiamata, aveva definitivamente escluso in danno degli attori ogni diritto o aspettativa riferibile al conseguimento di un diploma nei termini e modi previsti, invece, in favore dei specializzandi i cui corsi decorrevano dall’anno accademico 1991/1992.

E’ parimenti prescritta ogni pretesa rapportata al mancato riconoscimento del punteggio aggiuntivo previsto dall’art. 4, comma 7, del d.l.gs. 257/91 – anche a titolo di risarcimento, ai sensi dell’art 2043 c.c. – dovendo, al riguardo, essere ribadite le valutazioni già espresse con riguardo alla remunerazione. Anche in queste ipotesi, infatti, le contestate omissioni si sarebbero consumate in sede di adeguamento alle direttive comunitarie, che, anche con riferimento all’attribuzione di determinati punteggi, non hanno carattere self – executing.

Sono, come detto, prescritte anche le richieste – sia per la remunerazione sia per il punteggio aggiuntivo, sia, in subordine, per l’equivalente in via risarcitoria – legate alla posizione delle parli intervenute, posto che l’Avvocatura dello Stato, appena preso atto dell’intervento, ha ribadito l’eccezione di prescrizione anche nei confronti dei soggetti intervenuti, come risulta dal verbale di udienza del 28.5.2009 (prima difesa utile dei convenuti), in cui è stato dato atto della conferma di “quanto dedotto ed eccepito nella comparsa di risposta”. i Per quanto poi riguarda la specifica posizione di alcuni dei ricorrenti – per i quali non sarebbe maturata la prescrizione in ragione di avvenuti atti interruttivi o del posticipato conseguimento del diploma di specializzazione – ritiene questo Giudice di non poter condividere gli effetti che la difesa degli attori vorrebbe farne conseguire.

In particolare, nel caso della dott.ssa Ca.El. l’atto interruttivo – che pur sarebbe stato tempestivo (il Decreto legislativo 8 agosto 1991, n. 257 è stato pubblicato nella Gazz. Uff. del 16 agosto, n. 191) – è stato eseguito rispetto a soggetti non legittimati (università e ministeri, per quanto già detto in precedenza) e, dunque, essendo in violazione dell’art. 2943, comma 4, c.c. (dovendosi intendere come debitore unicamente la Presidenza del Consiglio), non gli può essere riconosciuta l’efficacia interruttiva prevista dalla legge.

Nel caso, invece, dei dott.ri Ch.Lu., Ci.Ma., Do.Da. e Fa.Ga., gli atti di diffida sono stati compiuti oltre l’agosto 2001 (come detto, periodo in cui è maturata la prescrizione del loro diritto) e, pertanto, risultano intempestivi con la conseguente prescrizione anche delle loro pretese.

Diversa condizione non può essere riconosciuta neppure ai dott.ri Fe.An. e Ca.Gi.. In effetti, in considerazione della prospettazione delle domande di parte, dell’allegazione probatoria nonché dell’assenza di atti interruttivi della prescrizione, risulta in atti che per i corsi di specializzazione frequentati (tre per Ca.) alcuni anni siano già ricompresi (essendo successivi al 90/91) nell’operatività della legislazione nazionale di recepimento delle citate direttive comunitarie (e, dunque, dei diritti da esse garantiti). E’ comunque da considerare che sia per gli anni già ricompresi (essendo successivi al 90/91) nell’operatività della legislazione nazionale che per gli anni esclusi, il diritto risulta prescritto. E’ altresì da rilevare che la decorrenza della prescrizione non è legata al conseguimento del diploma di specializzazione (peraltro, nel caso del dott. Ca., indistintamente riferito all’ultima delle tre specializzazione conseguite) bensì alla maturazione dei singoli anni di frequenza e per la sola durata legale del corso di specializzazione.

Per completezza della motivazione è da rilevare che la lamentata condotta illecita dello Stato che avrebbe prodotto un danno suscettibile di valutazione patrimoniale in relazione alle eventuali discriminazioni o maggiori difficoltà incontrate dal medico specialista – il quale non avrebbe potuto frequentare i corsi di livello comunitario, conseguire incarichi di lavoro, ovvero esercitare attività professionale in altri Paesi dell’Unione europea è da rilevare che l’astratta idoneità dell’illecito alla produzione di un pregiudizio patrimoniale non è ex se sufficiente all’accoglimento della domanda attorea, neppure sotto il profilo della sottrazione di occasioni vantaggiose.

La domanda risarcitoria da perdita di chance (punteggio superiore da far valere in pubblici concorsi, esercizio della professione in altro Stato della Comunità) non esonera, infatti, gli attori dall’onere di fornire la prova della possibilità perduta, né del pari la richiesta di una liquidazione equitativa del danno integra una “relevatio ab onere probandi” (cfr. Cass. 27.12.1994 n. 11202; Cass. II sez. 10.4.2000 n. 4487 in USI Mass civ. Corte cass. riv. 535486). Relativamente ai concorsi pubblici la perdita di chance doveva essere, infatti, dimostrata con la prova dell’esclusione della candidata ovvero dell’inutile collocamento in graduatoria proprio per carenza del punteggio riconosciuto solo agli specializzati post 1991 – 92; mentre la impossibilità di esercitare il diritto di stabilimento, doveva trovare riscontro probatorio in specifici e concreti atti (individuazione della località di stabilimento, contatti con studi professionali, richieste di lavoro presso enti pubblici od altri soggetti privati, ecc.) diretti all’esercizio dell’attività professionale in altri Stati membri nonché nell’effettivo impedimento dello svolgimento dell’attività medica a causa della non equipollenza del titolo professionale.

Infine, per quanto riguarda tutte le predette maturate prescrizioni, non può trovare accoglimento la domanda, richiesta da attori e intervenuti in via ulteriormente gradata, di arricchimento senza causa, difettando il requisito della residualità.

L’effettiva incertezza della lite, dovuto anche al contrasto giurisprudenziale solo di recente parzialmente risolto dalla Suprema Corte, giustifica l’integrale compensazione delle spese di lite tra le parti.

P.Q.M.
Il Tribunale definitivamente pronunciando così provvede:

rigetta le domande proposte dagli attori e dagli intervenuti in giudizio; compensa interamente tra le parti le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 14 marzo 2011.

Depositata in Cancelleria il 15 marzo 2011.

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