Il titolare dell’impresa risponde dei danni del preposto anche in assenza di un contratto di lavoro subordinato

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Corte d’Appello di Lecce – Sezione I – Sentenza 9 giugno 2015 n. 405

La Corte di Appello di Lecce, con la sentenza n. 405 del 9.06.2015, ha stabilito che Il titolare della impresa risponde, in ogni tempo, dei comportamenti di chi abbia preposto a condurre i propri affari anche in assenza di un rapporto di lavoro subordinato. Ai fini della tutela dei terzi, infatti, quello che conta è l’«apparenza»,  cioè, le condizioni oggettive poste in essere dal preponente, a prescindere da una sua colpa specifica riguardo l’accaduto. Sulla base di questo principio, la corte salentina,  ha respinto  il ricorso del titolare di una ricevitoria, condannato in solido con il preposto, che aveva raccolto la scommessa, a ristorare oltre 200mila euro ad un gruppo di clienti per la mancata giocata di un sistema totogol regolarmente pagato e poi risultato vincente.

Il tribunale aveva verificato, senza ombra di dubbio,  che a vendere le quote era stato il commesso, che aveva poi riconosciuto di aver “dimenticato” di giocare la scommessa e che «appariva quale preposto con conseguente responsabilità anche in capo al titolare della ricevitoria per il risarcimento del danno patito dagli attori». Infatti, come ricostruito attraverso prove testimoniali, era lui a gestire,  di fatto, l’attività ed a raccogliere le scommesse ed a pagarle in caso di vincita.

Il legittimo proprietario, invece nel ricorso aveva sostenuto la sua estraneità in virtù dell’autonomia del commesso che poteva raccogliere le giocate in ricevitoria senza doverlo coinvolgere.

Nel ribadire  la decisione, il giudice di appello, ricorda che il titolare della impresa è responsabile, ai sensi dell’articolo 2049 c. c., dei danni arrecati a terzi dalle condotte illecite del preposto «sia quando tali condotte siano riconducibili alle incombenze a lui attribuite, sia quando esorbitano dalle predette incombenze». In questa seconda ipotesi si applica il principio dell’«apparenza del diritto, purché sussista la buona fede incolpevole del terzo danneggiato e l’atteggiamento colposo del preponente, desumibile dalla mancata adozione delle misure ragionevolmente idonee, in rapporto alla peculiarità del caso, a prevenire le condotte devianti del preposto». (n. 23448/2014)

Ai fini della configurabilità del rapporto di preposizione, non è invece richiesto un contratto di lavoro subordinato,  ma è sufficiente «anche una mera collaborazione od ausiliarità del preposto, nel quadro dell’organizzazione e delle finalità dell’impresa gestita dal preponente, e prescindendosi dalla colpa del preponente, in quanto la responsabilità è imputata a titolo oggettivo, avendo come suo presupposto la consapevole accettazione dei rischi insiti in quella particolare scelta imprenditoriale» (n. 14578/2007).

La responsabilità del preponente, dunque, «sorge per il solo fatto dell’inserimento dell’agente nell’impresa, senza che assumano rilievo né la continuità dell’incarico affidatogli, né l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato: basta che il comportamento illecito del preposto sia stato agevolato o reso possibile dalle incombenze a lui demandate dall’imprenditore e che il “commesso” abbia svolto la sua attività sotto il controllo del primo».

Per tali motivi, chiosa, la sentenza, «per il solo fatto dell’inserimento nell’impresa, sorge la responsabilità ex art. 2049 c.c. in capo al titolare, senza neanche la necessità di provare l’assenza di negligenza del terzo il quale è entrato a contatto del preposto nell’esercizio delle incombenze alle quali era normalmente adibito»

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