L’intervento in ritardo sul paziente costringe a risarcire i postumi invalidanti

La sentenza della Corte di Cassazione n. 768/2016, afferma che  merita il risarcimento del danno non patrimoniale il soggetto che abbia riportato delle pesanti conseguenze perché la struttura sanitaria non ha seguito la best practise.

Nel caso di specie,  i medici erano stati ritenuti responsabili per aver effettuato, con ritardo, una erniectomia.

Al paziente la Corte di appello di Milano aveva riconosciuto un danno non patrimoniale per un importo superiore a 150mila euro.

I giudici di legittimità, hanno riconosciuto l’operato dei giudici della Corte di appello di Milano aveva riconosciuto un danno non patrimoniale per un importo superiore a 150mila euro, perché in base ad apposita ctu era emerso che in caso di intervento entro 24 ore dal cosiddetto “punto zero” (ossia dal momento in cui si manifestano i sintomi e in cui si deve agire) «la probabilità di permanenza di sequele invalidanti di funzioni organiche si attestava su una percentuale del 30%».

Corretta, quindi, la deduzione contraria e che cioè in caso di intervento tempestivo c’era il 70% di probabilità che il paziente guarisse completamente senza riportare alcuna conseguenza invalidante. In particolare è menzionato nella decisione la Corte milanese non si è limitata a dar conto della frequenza statistica dell’eventuale esito negativo in caso concreto (individuazione del cosiddetto “punto zero”, chiarezza della sintomatologia sin dal momento del ricovero, ritardo nell’iter diagnostico e nel conseguente intervento chirurgico), pervenendo, infatti, al convincimento che l’intervento nella specie era stato eseguito più di 48 ore dopo il ricovero e, quindi ben oltre il timing ottimale, con la conseguenza che al paziente risultava esser stato negato l’accesso a quella “elevata probabilità” di completa guarigione che per l’appunto in caso di intervento tempestivo avrebbe avuto.

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