Il susseguirsi delle previsioni illegittime sulla perequazione automatica. a cura dell’avv. Francesco Pizzuto

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L’effetto dell’ interruzione delle indicizzazioni generato dalla riforma Fornero prima, e dal governo Letta poi, con la Legge di Stabilità 2014, ha partorito non pochi malumori. Un contesto che ha preso spunto dall’art. 24, comma 25 del c.d. Decreto Salva – Italia. Un arresto delle rivalutazioni annuali di adeguamento agli indici Istat che di fatto ha mantenuto pressappoco inalterati gli importi pensionistici negli ultimi anni. Sono state solo parzialmente rivalutate le pensioni comprese tra 3 e 6 volte il trattamento minimo, ovvero quella fascia compresa tra 1500 e 3000 Euro, escludendo tutte quelle di importo superiore, con un netto risparmio per la spesa pubblica.

Ma ecco la buona notizia. In antitesi con le precedenti previsioni normative, il 6 maggio del 2015 è stata pubblicata in Gazzetta Ufficiale la sentenza n. 70 della Corte Costituzionale che dispone nel senso del dovuto aumento anche in favore di chi percepisce una pensione superiore a tre volte il minimo, per una manovra con effetto stimato sulle casse dello Stato pari a 15-50 miliardi di Euro.

La sentenza della Corte, dichiarando illegittimo il comma 25 dell’art. 24 del Decreto Legge n. 201 del 2011, sembrava aver reso giustizia a milioni di pensionati. Una statuizione in grado di offrire persino un valido assist al rilancio dei consumi!

Le sentenze della Corte Costituzionale, salvo diverse indicazioni espressamente previste dagli stessi giudici, acquistano efficacia il giorno dopo la pubblicazione. In questo caso, però, alla sentenza della Consulta ha fatto seguito la presa di posizione del governo Renzi. E cosa è successo? Sono state subito liquidate le somme spettanti ai pensionati? Assolutamente no! Ha preso forma il terzo provvedimento illegittimo, un continuum degli esecutivi precedenti. L’Inps, con la circolare attuativa n. 125 del 25 giugno, ha diramato le istruzioni operative per l’applicazione dell’art. 1 del Decreto Legge n. 65 del 2015, vanificando, così, gli effetti del pronunciamento della Corte. E’ stata restituita soltanto una piccola parte di quanto non percepito nel periodo 2012-2015. La platea dei pensionati interessati è stata mossa passivamente dalla conferma (fase positiva) dell’interesse legittimo consistente nella restituzione integrale di quanto illegittimamente non percepito sulla base di una norma dichiarata addirittura incostituzionale, ad una misura contenitiva (fase negativa ed immediatamente successiva alla prima), riconducibile alla politica del risparmio che porta la classe dei pensionati ai primi posti tra le categorie da cui attingere in tempo di crisi. Diritto alla perequazione che, tra l’altro, non è stato ripristinato per il 2016 e ciò causerà un’ ulteriore perdita del potere di acquisto, con un potenziale calo dei consumi.

Ma la “colpa”, la causa di queste manovre e forzature, anche alla luce della previsione della Corte,è davvero tutta dei nostri governi? Non proprio; e infatti, pare opportuno precisare che, oltre al profilo interno, la faccenda debba essere inquadrata anche in un punto di vista più ampio, quello comunitario, con le pressioni derivanti dalla Commissione Europea che ritiene di fondamentale importanza la sostenibilità delle finanze pubbliche degli stati membri dell’ Unione. E così come la spinta volta all’adozione di tali scelte (quasi obbligate, verrebbe da aggiungere) sia venuta dall’Europa, probabilmente nello stesso ambito del diritto comunitario si potrà giungere ad una soluzione definitiva del caso attraverso un ricorso alla Cedu, al fine di vedere riconosciuto il pieno adeguamento degli importi ed il rimborso di quanto illegittimamente trattenuto.

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