Regime probatorio del danno alla persona. Il colpo di frusta. A cura dell’Avv. Luca Larato

Regime probatorio del danno alla persona. Il colpo di frusta. A cura dell’Avv. Luca Larato

incidente_Regime probatorio del danno alla persona. Il colpo di frusta. A cura dell’Avv. Luca Larato

01. Il danno alla persona. Il danno biologico in particolare

La materia è alquanto complessa e irriducibile allo spazio di un singolo articolo. Pertanto, si cercherà di fare il possibile, per essere esaustivi, sia pure sintetizzando.

Il danno alla persona, nelle sue varie connotazioni (danno biologico, esistenziale, psichico, sessuale, relazionale…) non è direttamente previsto dal Codice Civile del 1942, che contiene soltanto l’art. 2043 (danno extracontrattuale) e l’art. 2059 (danno non patrimoniale), senza mai occuparsi della lesione dei molteplici beni – interessi (salute, relax, sessualità, reputazione, aspetto…) della persona umana.

 

Questi beni – interessi, però, sono previsti dalla Costituzione del 1948. Tra tutte, le norme più importanti sono l’art. 2 Cost., che prevede la realizzazione della persona nella società (famiglia, scuola, lavoro…), e l’art. 32 Cost., che tutela il diritto alla salute.

È evidente che il Legislatore repubblicano ha omesso di coordinare il vecchio Codice di matrice fascista con la successiva Costituzione democratica.

L’irrinunciabilità e l’irriducibilità, che connotano i beni della persona in una società libera e democratica, hanno suscitato l’esigenza di una loro pressante tutela dai pregiudizi, cui la complessità della vita quotidiana li sottopone.

Di questa esigenza sono stati alfieri gli studiosi del diritto (giuristi e magistrati), che hanno fatto tesoro delle norme costituzionali e degli artt. 2043 e 2059 c.c., per tentare di colmare la lacuna legislativa attraverso un’elaborazione laboriosa ed articolata del danno alla persona.

Basta pensare alla definizione del “danno biologico” e al suo rapporto reciproco con l’altra figura di danno alla persona, conosciuta come “danno esistenziale”.

Il cammino verso l’elaborazione del concetto di danno biologico è stato lungo.

I primi tentativi si sono rivolti a sfere diverse di danno come il danno alla sfera sessuale, il danno estetico, il danno alla vita di relazione…

Tribunale di Genova 25 maggio 1974 ha affermato che il danno alla persona si riferisce alle attività lavorative ed extralavorative, comprendendo queste ultime le attività, per mezzo delle quali si realizza la personalità dell’individuo.

Corte Costituzionale n. 88 del 1979 per la prima volta delinea la nozione di “danno biologico”. Così, il danno biologico è definito come “menomazione dell’integrità della persona…, che non si esaurisce nella sola attitudine a produrre ricchezza, ma si collega alla somma delle funzioni naturali afferenti al soggetto nell’ambiente, in cui la vita si esplica ed aventi rilevanza non solo economica, ma anche biologica, sociale, culturale ed estetica”.

In altre parole, il danno biologico è una lesione alla salute (integrità psichica e fisica) della persona, pregiudicante la sua vita sociale, culturale, ricreativa, sessuale, sportiva, relazionale…

02. Regime probatorio e mezzi probatori

Nel 1986, con la sentenza n. 184, la Corte Costituzionale (nello stesso senso, tra le altre, Trib. Reggio Calabria 16.3.2001) definisce il danno biologico come un “danno evento”. Ciò significa che la semplice lesione del bene personale tutelato già costituisce danno risarcibile.

Da un punto di vista probatorio, questa impostazione consentirebbe di risarcire il danno biologico, semplicemente provando che una lesione (frattura, colpo di frusta, bruciatura…) c’è stata. Infatti, lesione e danno coinciderebbero.

Questa opinione, però, nell’esaltante tentativo di dare la più ampia tutela ad interessi meritevoli della persona, dimentica la lezione della teoria generale del danno, secondo la quale risarcibile è una perdita subita (cfr. art. 1223 c.c.), non la semplice lesione dell’interesse tutelato.

Ad esempio, immaginiamo che Tizio patisca una frattura alla gamba (lesione del bene salute) e che successivamente non possa più giocare a tennis (perdita) come prima. In questo caso, secondo la teoria generale del danno, non andrebbe risarcita la lesione del bene salute (frattura alla gamba), ma andrebbe risarcita la perdita, soltanto se Tizio riuscisse a provare di non potere più giocare a tennis come prima della frattura.

Inoltre, l’impostazione della sentenza n. 184 consente una risarcibilità illimitata ed indiscriminata delle lesioni degli interessi della persona, la quale mal si concilia con la natura compensativa della sanzione risarcitoria. In altri termini, la sanzione risarcitoria ha funzione compensativa di un pregiudizio subito, non ha funzione punitiva. Così, scollegare la lesione dell’interesse tutelato dalle conseguenze pregiudizievoli effettivamente subite dal danneggiato, significherebbe trasformare il risarcimento in una sanzione ingiustamente ed inutilmente repressiva per il danneggiante.

Pertanto, nella successiva elaborazione giurisprudenziale la lesione del bene – persona diventa risarcibile in ragione delle privazioni o dei peggioramenti esistenziali, cui costringe il soggetto leso. In sintesi, il danno alla persona è elaborato come un danno – conseguenza. In altri termini, il giudice dovrebbe tenere conto non soltanto della lesione (frattura, nell’esempio di prima), ma anche di tutte le attività esistenziali (pratica del tennis, nell’esempio di prima), che fossero impedite o che fossero aggravate (per es., curarsi della persona del danneggiato) per effetto della menomazione riportata dal soggetto leso.

Nell’esempio già fatto, Tizio sarà risarcito, soltanto se prova, oltre alla lesione (frattura), anche l’impossibilità di continuare a giocare a tennis come prima dell’incidente.

Questa nuova opinione è stata fatta propria da Corte Costituzionale n. 372 del 1994 (in senso conforme, le sentenze gemelle Cass. nn. 8827 e 8828 del 2003, Cass. 05.11.2002 n. 15449, Cass. 9009/´01), secondo cui il soggetto danneggiato deve provare la perdita (danno – conseguenza) di quelle utilità “afferenti  alla persona”, di natura non patrimoniale, suscettibili di valutazione da parte del giudice.

A sostegno di questa opinione è possibile citare una massima di Cassazione 29.5.1996 n. 4991 (in Foro it., 1996, I, 3107): non vale la regola che, verificatosi l’evento, vi sia senz’altro un danno da risarcire. Il risarcimento del danno vi sarà se vi sarà perdita di quelle utilità che fanno capo all’individuo nel modo preesistente al fatto dannoso e che debbono essere compensate con utilità economiche equivalenti. In caso contrario il cosiddetto danno biologico non può essere configurato”.

In altri termini, questa pronuncia della Suprema Corte invita a confrontare la vita del danneggiato prima e dopo l’incidente. Il risarcimento sarà riconosciuto, soltanto se è ravvisata una perdita (o aggravamento) delle funzioni (qualità) personali rispetto al periodo antecedente il fatto illecito.

Tale ultima impostazione appare talmente rigorosa, da svilire il sistema di tutela dei beni della persona, configurato dagli studiosi, anche a rischio di lasciare privi di protezione diritti fondamentalissimi come quello ad una vita completa da un punto di vista psichico e fisico.

Per tale motivo, l’impostazione più rigorosa è stata mitigata da diversi accorgimenti, distinguendo l’onere probatorio secondo il tipo di bene pregiudicato.

Alcuni interessi fondamentali e basilari (salute, famiglia, reputazione, libertà di pensie­ro…), una volta violati, sono immediatamente risarcibili. Infatti, sia per esperienza (es., salute, tranne che in materia di pregiudizi permanenti derivanti da lesioni irrisorie) sia per la loro rilevanza politico – sociale (es., famiglia) è facile presumere che la loro lesione costituisca già un danno in sé.

In tali casi, per ottenere il risarcimento, al danneggiato è sufficiente provare la lesione. Invece, sarà onere del danneggiante, se non vuole risarcire il danno, provare che la sua condotta nessuna lesione ha provocato a carico del danneggiato.

Lo stesso bisogna affermare per tutti i pregiudizi, che normalmente e generalmente si ricollegano ad un determinato evento lesivo, perché colpiscono qualità basilari di tutti gli uomini (mangiare, vestirsi, camminare…). Così, a seguito di una frattura ad una gamba (evento lesivo) normalmente e generalmente si presume che ci sia un’alterazione della capacità di camminare. In questo caso, il danneggiato non è chiamato a provare il pregiudizio alla sua capacità di camminare, ma dovrà semplicemente provare la frattura. Sarà interesse del danneggiante provare che nessun pregiudizio ha subito la vittima dell’evento lesivo alla sua capacità di camminare.

Invece, esistono pregiudizi (perdite o aggravamenti), che l’evento lesivo (frattura alla gamba) può provocare soltanto ad un determinato danneggiato. Così, soltanto se Tizio giocava a tennis prima dell’incidente, potrà chiedere il risarcimento del danno da impossibilità di praticare questo sport come prima. In questo caso, il danneggiato non può avvalersi delle presunzioni, ma deve fornire una prova molto rigorosa del pregiudizio subito, perché socialmente e generalmente l’impossibilità di giocare a tennis non si ricollega normalmente alla frattura di una gamba. Alla fine, spetta al giudice individuare un peggioramento nella vita della vittima, facendo un confronto tra il prima (da dimostrare senza ombre) e il dopo l’incidente.

Fatta questa doverosa lunga premessa sulle circostanze oggetto della prova, bisogna indicare i mezzi probatori utilizzabili all’uopo.

Si è scritto che è possibile fare ricorso (Cass. SS. UU. 26972/´08) alle presunzioni (strumenti logici, che permettono d’affermare l’esistenza del fatto da provare tramite la conoscenza di un fatto noto), le quali, però, non possono essere utilizzate, per provare i pregiudizi non normalmente provocati (impossibilità di continuare a giocare a tennis) da una determinata lesione (frattura alla gamba). In questi casi la prova deve essere specifica e rigorosa, così che non è possibile usare le presunzioni, ma è necessario ricorrere alle testimonianze. Come scritto infra, è qui possibile anticipare che le presunzioni a favore del danneggiato non possono essere usate anche in merito ai pregiudizi permanenti derivanti da lesioni minime (es., graffi, sbucciature, colpi di frusta…).

È anche utilizzabile (Cass. SS. UU. 26972/´08), oltre la prova documentale, il fatto notorio (art. 1152 c.p.c.), inteso come il fatto, osservabile e percepibile dalla collettività, che l’uomo di media cultura conosce in un dato tempo ed in un determinato luogo e che può essere posto a fondamento della decisione giudiziale senza bisogno di prova. Ad esempio, è notorio che la scienza medica ha individuato i viruses HBV, HIV ed HCV nel 1978, nel 1985 e nel 1988, predisponendo i relativi tests diagnostici. Pertanto, non è necessario provare che i viruses sono stati scoperti in quelle date e che prima non esistevano strumenti diagnostici.

Oltre i mezzi di prova, menzionati, rilevante è il ruolo istruttorio della consulenza tecnica d’ufficio. Questa può essere esclusa motivatamente dal giudice e deve essere esclusa, quando il danneggiato è deceduto (Cass. SS. UU. 26972/´08).

L’importanza della c.t.u. è essenziale in materia di lesione del bene salute, perché questa lesione (diversamente dalla lesione alla reputazione oppure all’attività ricreativa oppure alla famiglia…) è la sola suscettibile d’accertamento e di valutazione medico – peritali nell’ambito del danno alla persona.

03. Danni permanenti da colpo di frusta e da altre lesioni minime

In questa materia suscita particolare interesse la lesione minima (es., colpo di frusta), da cui discende un’invalidità permanente, se non altro per la frequente ricorrenza della fattispecie.

Tra le nozioni, che rientrano nelle conoscenze d’ogni uomo medio (fatto notorio), rientra quella, secondo cui, le contusioni, le ecchimosi, le escoriazioni guariscono di norma senza lasciare alcun tipo di pregiudizio permanente. Pertanto, da una lesione, consistita in una “contusione” et similia, non è possibile affermare che derivino postumi permanenti.

Sarà, in questo caso, onere del danneggiato dimostrare attraverso elementi oggettivi che, nonostante la lieve entità delle lesioni, esse hanno avuto un decorso sfavorevole, lasciando postumi permanenti.

A sostegno di quanto ora scritto si riporta una massima del Tribunale di Roma, che in data 04.04.1996 così ha sentenziato: “La caratteristica del comizio sintomatico che accompagna una distrazione del rachide cervicale conseguita ad un colpo di frusta è di essere, in larga parte, di difficile accertamento oggettivo. Il dolore alla digitopressione, la riduzione dei movimenti dell’articolazione, l’attenuazione della lordosi, sono tutti dati condizionabili dalla collaborazione, cosciente o meno, del soggetto leso. Pertanto il medico-legale chiamato ad accertare l’esistenza di postumi permanenti in seguito al meccanismo del colpo di frusta non segue una corretta procedura gnoseologica, ed anzi compie un grave errore, ove utilizzi esclusivamente quanto dichiarato dal periziato per porre la propria diagnosi, senza alcun riscontro oggettivo. Il periziato infatti si trova nella particolarissima situazione d’essere oggetto della perizia, ma d’essere altresì soggetto del processo, e portatore di interessi economicamente apprezzabili nel processo stesso. L’ausiliario non può dunque arrestarsi a quanto riferito dal periziato, ma deve verificarlo scientificamente, controllarlo obiettivamente, giustificarlo medico – legalmente”. Poiché tutto ciò, nel caso di specie, non era stato fatto, il Tribunale ha concluso per l’assenza di prova che alle lesioni fossero residuati postumi permanenti e ha rigettato la richiesta di risarcimento del danno.

Il Tribunale di Roma afferma che è troppo rischioso riconoscere il risarcimento per un pregiudizio permanente derivante da colpo di frusta soltanto in base alle affermazioni del danneggiato – parte processuale. Infatti, costui è il diretto interessato al risarcimento, così che non può essere obiettivo ed imparziale. Perciò, è necessario l’intervento del consulente legale d’ufficio, che rivesta l’accertamento del pregiudizio con un mantello di imparzialità e scientificità, senza riservare alla collaborazione del periziato – danneggiato un ruolo decisivo.

Pertanto, è possibile concludere che secondo la logica, secondo il buon senso e secondo la comune esperienza deve escludersi che da fatti così infinitesimi possano derivare lesioni personali con esiti permanenti, salvo contraria valutazione medica e prova specifica che una perdita o un aggravamento esistenziale duratura/o abbia colpito la vittima della lesione.

Avv. Luca Larato

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