DANNI PROVOCATI DAL DISSESTO STRADALE – Cassazione civile 23277/2010

«È consolidata affermazione di questo giudice di legittimità che, in tema di responsabilità per danni da beni di proprietà della Pubblica amministrazione, qualora non sia applicabile la disciplina di cui all’art. 2051 cod. civ., in quanto sia accertata in concreto l’impossibilità dell’effettiva custodia del bene, a causa della notevole estensione dello stesso e delle modalità di uso da parte di terzi, l’ente pubblico risponde dei pregiudizi subiti dall’utente, secondo la regola generale dell’art. 2043 cod. civ., norma che non limita affatto la responsabilità della P.A. per comportamento colposo alle sole ipotesi di esistenza di un’insidia o di un trabocchetto. Conseguentemente, secondo i principi che governano l’illecito aquiliano, graverà sul danneggiato l’onere della prova dell’anomalia del bene, che va considerata fatto di per sé idoneo – in linea di principio – a configurare il comportamento colposo della P.A., mentre spetterà a questa dimostrare i fatti impeditivi della propria responsabilità, quali la possibilità in cui l’utente si sia trovato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la suddetta anomalia o l’impossibilità di rimuovere, adottando tutte le misure idonee, la situazione di pericolo (confr. Cass. 6 luglio 2006, n. 15383). Non è superfluo aggiungere che siffatto ordine di idee ha a suo tempo ricevuto il significativo avallo della Corte costituzionale la quale, chiamata a scrutinare la conformità con gli artt. 3, 24 e 97 della Costituzione degli artt. 2051, 2043 e 1227 cod. civ., ha ritenuto infondato il dubbio proprio in ragione della aderenza ai principi della Carta fondamentale del nostro Stato dell’interpretazione affermatasi nella giurisprudenza di legittimità (confr. Corte cost. n. 156 del 1999). 2.1. Principio altrettanto pacifico è poi che, allorquando si faccia valere la responsabilità extracontrattuale della pubblica amministrazione per danni subiti dall’utente a causa delle condizioni di manutenzione di una strada pubblica, la valutazione della sussistenza di un’insidia, caratterizzata oggettivamente dalla non visibilità e soggettivamente dalla non prevedibilità del pericolo, costituisce un giudizio di fatto, incensurabile in sede di legittimità se adeguatamente e logicamente motivato (confr. Cass. civ., 19 luglio 2005, n. 15224). 3. Venendo al caso di specie, il giudice di merito ha affermato che l’instabilità del tombino costituiva, in mancanza di qualsivoglia segnalazione dei lavori in corso e di recinzione della zona interessata, un pericolo occulto e imprevedibile, segnatamente rimarcando l’incongruità della linea difensiva della convenuta amministrazione – volta a rovesciare sull’infortunata la responsabilità dell’accaduto – alla luce del criterio, di elementare buon senso, che proprio per la mancanza di ogni segnalazione, l’utente poteva camminare indifferentemente sull’uno o sull’altro lato della strada. Ciò significa che il decidente ha valutato, in termini che non possono essere tacciati di implausibilità e di illogicità rispetto al contesto fattuale di riferimento, la sussistenza dei presupposti per l’applicabilità del presidio generale di cui all’art. 2043 cod. civ. e ha poi dato del suo convincimento una motivazione esaustiva e corretta. Tanto basta perché la relativa valutazione si sottragga al sindacato di questa Corte.»
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