Attività Pericolosa e Gestione impianto di sci – Tribunale di Trento 5.01.2011

un’attività può essere definita pericolosa, secondo gli effetti di cui all’art. 2050 c.c., solo ed esclusivamente in relazione alla probabilità delle eventuali  conseguenze dannose che possano scaturirne e non anche in merito alla diffusione delle modalità con le quali viene quotidianamente esercitata, che ben potrebbero essere tutte e sempre inadeguate, senza per questo evitare i presupposti per l’applicazione della norma citata.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

TRIBUNALE DI TRENTO

In persona del dr. Carlo Ancona, in funzione di giudice unico, ha pronunciato la seguente

SENTENZA

Nella causa iscritta a ruolo sub R.G. 1485/09 n. su conclusioni del 22 9 2010, pendente tra:

Ba.Al. – avv. Ra. e Mu.

attore

Fu.Ci. e Co. S.p.A. – avv. Pa. e Gh.

convenuta

avente ad oggetto: responsabilità per infortunio su pista da sci 

Svolgimento del processo

Il caso di specie concerne un incidente sciistico: Al.Ba. si trovava fermo a bordo della pista da scii quando venne travolto da uno snowbardista, proveniente a gran velocità da fuori pista, così riportando gravi lesioni ai tendini delle mani.

Lo stesso citava pertanto Fu.Co. & Co. S.p.A. (in persona del legale rappresentante por tempore) perché ne fosse accertata la responsabilità e perché per effetto la stessa fosse condannata al pagamento dei danni patiti dall’attore, così come dallo stesso quantificati.

La soluzione del caso richiede in via preliminare la disamina del tipo di responsabilità civile operante nell’ipotesi di incidente su pista da scii. In effetti si tratta di stabilire a quale titolo l’ente gestore della pista possa essere chiamato a rispondere dei danni provocati dal terzo allo sciatore, nel mentre questi si trovava ad usufruire dell’impianto sciistico.

La prima ricostruzione fa leva sul disposto dell’articolo 2050 c.c.: in capo all’ente gestore della pista sarebbe ravvisabile una responsabilità di tipo extracontrattuale ricollegabile all’esercizio di attività pericolosa. Notoriamente la responsabilità in esame colpisce tanto coloro che svolgono l’attività pericolosa quanto coloro che la gestiscono. Vale allora la pena di soffermarsi sulla nozione di attività pericolosa per vedere se in effetti la fattispecie in esame sia o meno sussumibile in questa categoria: trattasi – come ben si evince dallo stesso dato letterale – di attività che comportino una rilevante possibilità di verificazione di un danno, per la loro spiccata potenzialità offensiva (ex multis, C. 2.12.1997, n. 12193). Appare evidente che saranno da ritenersi pericolose le sole attività che risultino – per loro natura o per i mezzi utilizzati – pericolose, rendendo probabile e non meramente possibile la causazione del danno. Accanto ad attività definibili come pericolose tipiche perché individuate come tali da leggi o regolamenti, esistono attività pericolose definite atipiche, la cui pericolosità deve essere accertata in concreto da giudice di merito, in base al suo prudente apprezzamento. Per quanto attiene, più specificatamente, al giudizio di pericolosità, esso deve essere espresso non sulla base dell’evento dannoso effettivamente verificatosi, bensì attraverso una prognosi postuma, sulla base cioè delle circostanze di fatto che si presentavano al momento stesso dell’esercizio dell’attività. Ebbene: proprio in considerazione delle dinamiche specifiche dell’evento, nel caso di specie non v’è dubbio che di attività pericolosa non si possa parlare: si deve infatti ricordare che lo sciatore era al momento dell’impatto fermo a lato della pista. Certo la sosta non può essere considerata attività pericolosa, a prescindere da quale classificazione si voglia dare all’attività sciistica in sé.

Senza contare peraltro che consolidata giurisprudenza esclude in generale la qualifica di attività pericolosa rispetto allo scii, in considerazione del fatto che le attività in sé pericolose, che importano responsabilità ex art. 2050 c.c. devono essere tenute distinte da quelle normalmente innocue, che possono diventare pericolose per la condotta di chi le esercita. Infatti: “La pericolosità di un’attività va apprezzata, per gli effetti di cui all’art. 2050 c.c. esclusivamente in relazione alla probabilità delle conseguenze dannose che possano derivarne e non anche in riferimento alla diffusione delle modalità con le quali viene comunemente esercitata, che ben potrebbero essere tutte e sempre inadeguate, senza per questo elidere i presupposti per l’applicazione della norma citata”. In particolare, con riferimento alla gestione di un impianto sciistico, non sarebbe possibile affermare la pericolosità della suddetta attività perché coloro che praticano lo sci non adottano normalmente le cautele che sarebbero opportune, “giacché così opinando si assumerebbe a parametro valutativo non già l’attitudine dell’attività a recare danno, bensì il grado di diligenza comunemente riscontrabile, laddove la questione da porsi è se, in relazione alle caratteristiche della pratica sportiva in esame, sia qualificabile come pericolosa l’attività di gestione dell’impianto” (C. 7916/2004, Nello stesso senso si vedano anche C. 15.2.2001 n. 2216; C. 12.5.2000 n. 6113).

Esclusa pertanto la possibilità di ricondurre la fattispecie de quo nell’alveo della responsabilità per attività pericolose, passiamo alla disamina della seconda – per il vero già prima facie improbabile – possibilità ricostruttiva, che sarebbe quella di ricondurre la responsabilità dell’ente gestore di piste da scii nell’ambito della generale previsione di cui all’articolo 2043 c.c. Ma questo implicherebbe la applicazione di una duplice presunzione: da un lato – dal punto di vista dei presupposti oggettivi – si richiederebbe di ritenere infatti la sussistenza di un fatto illecito (la mancata manutenzione o la mancata segnalazione del pericolo) dell’ente gestore che abbia cagionato il danno. Dall’altro lato – dal punto di vista dei presupposti soggettivi – si renderebbe necessario l’operare di una presunzione di colpa in capo allo stesso ente gestore, superabile solo con la prova del caso fortuito. Come a dire che avallando una simile ipotesi ricostruttiva si finirebbe con l’introdurre in via pretoria un’ipotesi di responsabilità oggettiva per rischio oggettivamente evitabile, in capo alla società incaricata della manutenzione delle piste da scii: soluzione davvero incettabile, sulla quale nemmeno vale la pena di spender oltre parole.

Passiamo dunque all’esame di quella che è la terza ipotesi di lettura: il richiamo va qui all’articolo 2051 c.c. e così alla responsabilità per cose in custodia. Non vi è in effetti dubbio che il contratto di trasporto stipulato per la risalita dell’impianto implichi l’insorgenza in capo al custode di una posizione di garanzia che non copre solamente il momento della risalita in seggiovia ma anche quello successivo della discesa. Né v’è dubbio circa il fatto che il gestore della pista sia chiamato alla sua corretta manutenzione. La legge 363 del 2003 specifica in maniera ben precisa siffatto dovere stabilendo come “I gestori delle aree individuate ai sensi dell’articolo 2 assicurano agli utenti la pratica delle attività sportive e ricreative in condizioni di sicurezza, – provvedendo alla messa in sicurezza delle piste secondo quanto stabilito dalle regioni. I gestori hanno l’obbligo di proteggere gli utenti da ostacoli presenti lungo le piste mediante l’utilizzo di adeguate protezioni degli stessi e segnalazioni della situazione di pericolo” (art. 2 comma 1).

La responsabilità per custodia delineata all’articolo 2051 c.c. presenta carattere oggettivo, di talché ai fini della sua configurazione sarà sufficiente la prova della sussistenza del nesso causale tra la cosa in custodia e l’evento dannoso. Nel caso di specie non sussiste alcun dubbio circa la presenza di siffatto legame eziologico, tra incidente sciistico e lesioni riportate dalla parte attrice.

Unico fattore in grado di escludere pertanto la responsabilità del custode è costituito del caso fortuito, per tale dovendosi intendere un fattore esterno, recante i caratteri dell’oggettiva imprevedibilità ed inevitabilità. Vale a dire: l’ente gestore dell’impianto potrebbe dirsi esente da responsabilità solo laddove si dimostrasse l’occorrenza del caso fortuito o così laddove si provasse che l’evento dannoso risulti imputabile ad un fattore tale da incidere – alterandolo – sul profilo causale dell’evento (in questo senso C. 6.2.2007 n. 2563). Ebbene: si ritiene che possa dirsi tale sia l’elemento esterno che, interferendo nella situazione in atto, abbia di per sé prodotto l’evento (assumendo il carattere del fortuito autonomo) quanto il fattore terzo del tutto eccezionale (ed imprevedibile) che intervenendo ed incidendo sulla cosa abbia reso la stessa causa efficiente dell’evento dannoso (assumendo il carattere del fattore incidentale).

Nel caso di specie la soluzione dipende perciò dalla definizione corretta sotto tale punto di vista della collisione tra snowboardista proveniente da fuori pista e sciatore fermo a bordo pista.

In effetti che la responsabilità ex 2051 c.c. si possa ben escludere anche per l’intervento del fatto illecito del terzo, è dato certo in giurisprudenza. Ciò che importa è che suddetta causa esterna sia dotata di autonomo impulso causale e sia per lo stesso custode imprevedibile ed inevitabile (C. 11.6.1998 n. 5796): vale a dire che si richiede che il fatto del terzo abbia interrotto il nesso eziologico diretto tra la cosa in custodia ed il danno nonché che esso fosse in effetti connotato dal carattere dell’atipicità. Coerentemente con siffatte premesse teoriche la giurisprudenza ritiene che delle lesioni riportare da uno sciatore in seguito ad una caduta il gestore della pista da sci sia chiamato a rispondere solo nel caso di danni riconducibili a quei fattori di rischio che potremmo definire come tipici dell’attività in esame e così riconducibili ad esempio ad inadeguata manutenzione della pista, ovvero ad urto con ostacoli non adeguatamente segnalati e protetti.

Si noti per altro come in questi ultimi casi si tratta di elementi facilmente controllabili e riconducibili sotto il dominio del gestore: di fattori cioè suo quali lo stesso ben poteva intervenire – esercitando un potere di signoria e controllo sicché senz’altro lo stesso avrebbe potuto e dovuto evitare il danno e così contenere il rischio. Vale a dire: è vero che sull’ente gestore della pista graverebbero specifici obblighi volti ad assicurare la pratica delle attività sportive in condizioni di sicurezza, quali la manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti, la protezione degli utenti dagli ostacoli lungo la pista, mediante l’utilizzo di adeguate protezioni e segnalazioni delle situazioni di pericolo; ma è altresì vero che all’adozione di siffatte precauzioni e misure di sicurezza l’ente sarà tenuto sempre e solo in quanto si tratti di contenere rischi rientranti nella normale e prevedibili alea dell’attività sciistica, nonché sempre e solo che in concreto esso abbia la capacità – potere di impedire il prodursi di eventi dannosi. Non a caso la giurisprudenza ritiene che perché vi sia la responsabilità da custodia occorra la sussistenza di un effettivo potere fisico del soggetto sulla cosa, comportante a carico del predetto l’obbligo di vigilare la cosa medesima e di mantenerne il controllo, in modo da impedire che essa produca danni a terzi (C. 14.6.1999 n. 5885).

Se ne ricava che di una responsabilità per custodia dell’ente gestore difficilmente ore potrà parlarsi nel caso di specie, perché essa sarebbe ravvisabile solo laddove si ammettesse che il pericolo determinato dai fuoripista degli snowboardisti rientri nel concetto di manutenzione della pista o in quello di pericolo prevedibile dall’ente gestore che inoltre dallo stesso evitabile (o quantomeno ingenerante uno specifico dovere di esso segnalazione). Sostenere che il fatto di terzo sia prevedibile appare evidentemente una contraddizione in termini; è infatti vero che l’intrinseca rischiosità di una convivenza sciatori – snowboardisti costituisca fatto notorio, ma tuttavia non si potrà certo pretendere che l’ente gestore delle piste in concreto preveda le esatte circostanze di fatto e tempo del verificarsi degli eventi rischiosi e così non si potrà richiedere certo allo stesso una puntuale attività impeditiva di tali pratiche. Al più all’ente stesso potrà richiedersi un’attività dissuasoria nei confronti degli snowboardisti, attraverso la predisposizione di apposite e separate piste o attraverso l’affissione di segnali. Rimane fermo tuttavia che non vi sia modo di determinare e così di incidere sulla condotta del terzo, che per definizione appare essere estranea alla sfera di dominio del soggetto – risultando terza rispetto a questa. Cosicché senz’altro si dovrà riconoscersi nel caso in esame il caso fortuito. Né varrà a negare l’assunto asserire – come invero fa la parte attrice – che ben avrebbe potuto l’ente gestore frapporre reti di contenimento o altre barriere per evitare incidenti quali quello in narrativa. Non sarebbe pensabile in effetti (si pensi se non altro all’impatto ambientale) predisporre una recinzione di tutte le aree esterne – volto ad impedire lo zig zag dentro – fuori pista da parte di temerari “pirati delle piste” e “snowboardisti”. Chiamare a rispondere dei danni subiti dallo sciatore l’ente gestore pare in questo caso in effetti niente più che un escamotage per cercare a tutti i costi di allocare su qualcuno la responsabilità per accaduto, non essendo stato individuato il solo ed unico diretto responsabile dell’incidente occorso.

Alla luce delle considerazioni sin qui svolte si deve concludere per l’assenza di responsabilità in capo all’ente gestore delle piste, così rigettando la domanda attrice.

Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.
Rigetta la domanda; condanna l’attore alla rifusione delle spese di controparte, che liquida in Euro 3.800 oltre accessori.

Così deciso in Trento, il 30 dicembre 2010.

Depositata in Cancelleria il 5 gennaio 2011.

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