Violenza contro le Donne e Responsabilità civile – Tribunale di Varese 24 Febbraio 2011

STOP AI VIOLENTI … A “PAGARE” DA OGGI SONO LORO!!

Trib. Varese, Sezione Prima civile, sentenza  24 febbraio 2011 (dott. Giuseppe Buffone)

Nella generica espressione “violenza contro le donne”, sono compresi  tutti quei comportamenti violenti promossi contro il genere femminile che, sul piano pratico, si concretizzano in lesioni o sofferenze fisiche, psicologiche o sessuali  per le donne,ivi comprese  le semplici minacce di tali atti, la coercizione o la privazione indiscriminata e arbitraria della libertà personale, sia nella vita di relazione di tutti i giorni sia nel contesto più privato, all’interno delle “mura domestiche”.

L’azione violenta verso la donna determina, in capo al  responsabile del gesto, l’ obbligo del risarcimento del danno, ex art. 2059 c.c., da personalizzare però con particolare attenzione. La violenza degli uomini nei confronti del genere femminile, infatti, non costituisce, in via semplicistica, un problema di “salute pubblica”, ma anche e soprattutto una, vera e propria, questione di diseguaglianza tra donne e uomini, ambito in cui l’Unione europea ha il mandato per intervenire con estrema forza; una violazione dei diritti umani, segnatamente il diritto alla vita, alla sicurezza, alla dignità, all’integrità mentale e fisica nonché alla scelta e alla salute sessuale e riproduttiva; un ostacolo alla partecipazione delle donne alle attività sociali, alla vita politica, alla vita pubblica e al mercato del lavoro e può portare le donne all’emarginazione e alla povertà; un impatto negativo duraturo sulla salute mentale ed emotiva dei figli che può innescare un ciclo di violenza e di abusi che si perpetua di generazione in generazione.Per i motivi illustrati, la posta risarcitoria deve comprendere non solo il mero danno alla salute ma anche il pregiudizio per le gravi sofferenze morali patite dalla vittime, senza alcuna attenuante o riduzione.

Fatto[1]

Attrice e convenuto intrattenevano una relazione sentimentale a partire dall’anno 1996, da cui nascevano due figli gemelli, nel 1999. La relazione veniva, però, nel corso del tempo interrotta a causa dei dissapori insorti. L’attrice, in particolare, raccontava che il 13 aprile 2001 il compagno l’aveva prelevata dal luogo del lavoro per accompagnarla a casa e, a seguito di una accesa discussione, l’aveva colpita con violenza al viso, mediante una gomitata. Svincolatasi dal compagno e uscita dall’abitacolo del mezzo, l’attrice veniva da questi raggiunta il quale continuava ad aggredirla sferrandole “un forte manrovescio all’emivolto sinistro oltre a numerosi calci agli arti inferiori”. Da qui l’azione risarcitoria proposta per il ristoro del danno non patrimoniale subito (sub specie di danno biologico e danno morale).

La parte convenuta si costituiva e resisteva alla domanda chiedendone il rigetto con contestuale condanna dell’attrice al danno da lite temeraria ex art. 96 c.p.c. Il convenuto non contestava il fatto storico, nei dati topici e storici, ma asseriva che non vi era stata nessuna violenza, bensì una semplice discussione avendo il ZZ richiesto chiarimenti alla YY avendola vista impegnata in una lunga telefonata. Nel corso della discussione, il ZZ aveva strappato dalle mani il cellulare all’attrice e questa, per mero incidente, aveva urtato il volto sulla portiera, come da dichiarazioni rese dalla YYal Pronto Soccorso.

 

Diritto

Vanno svolte alcune considerazioni preliminari.

In primo luogo, nessun valore assume in questo giudizio il giudicato penale formatosi in conseguenza della sentenza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Varese in data 30 luglio 2004. Innanzitutto, trattasi di fatti diversi (i reati contestati erano quelli di molestie ex art. 660 c.p. e di minaccia ex art. 612 c.p.c.); in secondo luogo la sentenza è stata di assoluzione per mancato raggiungimento della prova oltre ogni ragionevole dubbio (e, quindi, con titolo ex art. 530, comma II, c.p.p.); in terzo luogo, trattasi di sentenza emessa all’esito di Giudizio Abbreviato (ex art. 442 c.p.p.).

Ebbene, come hanno magistralmente chiarito le Sezioni Unite (Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza n. 1768/11; depositata il 26 gennaio 2011, n. 1768), la disposizione di cui all’art. 652 c.p.p. (così come quelle di cui agli artt. 651, 653 e 654 del codice di rito penale) costituisce un’eccezione al principio dell’autonomia e della separazione dei giudizi penale e civile, in quanto tale soggetta ad un’interpretazione restrittiva e non applicabile in via analogica oltre i casi espressamente previsti. Ne consegue che la sola sentenza penale irrevocabile di assoluzione (per essere rimasto accertato che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto è stato compiuto nell’adempimento di un dovere o nell’esercizio di una facoltà legittima) pronunciata in seguito a dibattimento ha efficacia di giudicato nel giudizio civile o amministrativo per le restituzioni ed il risarcimento del danno. Negli altri casi, il giudice civile, pur tenendo conto degli elementi di prova acquisiti in sede penale, deve interamente ed autonomamente rivalutare il fatto in contestazione.

In secondo luogo, le dichiarazioni rese dalla persona danneggiata al momento del ricovero in Pronto Soccorso sono sempre superabili in un giudizio civile o penale, in quanto rilasciate all’operatore sanitario nell’imminenza del fatto e, nell’eventuale ipotesi di una violenza subito, ben possono mascherare o nascondere la verità per timore, minaccia altrui, paura o, semplicemente, vergogna (in genere, sull’ammissibilità della prova testimoniale sulle dichiarazioni rilasciate a soggetto accertatore: v. Cass. civ., sez. III, sentenza n. 10820 dell’11 maggio 2007).

Può procedersi alla valutazione delle prove.

 

1. Istruzione Probatoria

L’esito dell’interrogatorio formale del convenuto (all’udienza del 6 dicembre 2005) conferma pienamente (per confessione giudiziale) che il 13 aprile 2001 questi si recava presso il luogo di lavoro dell’attrice per prelevarla con la sua auto. E’ anche vero che, all’esito della lite, il convenuto telefonava a VV (ritenuto dallo ZZ il nuovo compagno della YY ed additato come motivo del litigio). In sede di interrogatorio, il convenuto riconosce che la compagna si fece male al punto da doverla accompagnare in pronto soccorso: ma non ammette le violenze, pur dichiarando il proprio stato d’ira per il presunto tradimento scoperto.

All’udienza del 21 marzo 2006, è stato escusso il teste VV, utile per la ricostruzione dai fatti. Il teste afferma la veridicità di tutta la ricostruzione storica dell’accaduto, come riferito dall’attrice, ma ammette che la conoscenza dei fatti è indiretta: per come raccontati dalla stessa YY. Vi è, però, che questi introduce in giudizio anche circostanze note per conoscenza diretta: riferisce, cioè, del contenuto della telefonata che ebbe con lo ZZ, da questi ammessa.

«Mi ha telefonato chiedendomi di incontrarmi perché mi avrebbe ammazzato di botte come stava facendo con la YY che sentivo in sottofondo lamentarsi»

Tutti gli altri testi escussi, con le deposizioni rese, contribuiscono a poter ritenere certamente vera la narrativa per come illustrata dall’attrice: e, peraltro, la versione del convenuto è intrinsecamente contraddittoria, lacunosa, e, infine, smentita dall’accertamento medico legale condotto sulla persona dell’attrice. Nella sua relazione peritale – senz’altro condivisibile per la razionalità degli snodi seguiti – il CTU, dr. …, riferisce della compatibilità della lesioni subite con la riferita aggressione.

La suddetta compatibilità e la intrinseca evidenza dei fatti come esposti dall’attrice si traggono pure dalla lettura simbiotica di dati peritali e dati testimoniali.

Se, come afferma l’attrice, l’aggressione cominciò in auto, allora, trovandosi questa sul lato passeggero e mostrando il lato sinistro al compagno è chiaro che lesioni dovrebbero incentrarsi proprio su questo lato (quello sinistro per l’appunto). Esattamente quanto accade nel caso di specie: la YY riportò una sollecitazione di tipo contusivo-compressivo incentrata prevalentemente a carico del capo e del volto nel lato di sinistro.

 

2. Violenza contro le donne e responsabilità Civile

Il 13 aprile 2001 l’attrice fu vittima di una violenza perpetrata ai suoi danni dal compagno. L’aggressione causò alla YYa – come già detto – una sollecitazione di tipo contusivo-compressivo incentrata prevalentemente a carico del capo e del volto nel lato di sinistro, con un danno biologico pari all’1%, 10 giorni di ITT, 10 giorni di ITP al 75%, 5 giorni di ITP al 50% e 5 giorni di ITP al 25%.

Nella contemporanea società civile, le aggressioni fisiche consumate ai danni della donna costituiscono uno strappo intollerabile al tessuto connettivo della Carta costituzionale, soprattutto là dove giustificate dall’atteggiamento prevaricatore e arbitrario del partner, circostanza su cui non si registra polifonia interpretativa.

E, infatti, giammai la famiglia (di diritto o di fatto) giustifica la lesione dei diritti dei singoli. E’ principio ormai condiviso (almeno a partire da Cass. civ. 9801/2005) quello per cui il rispetto della dignità e della personalità, nella sua interezza, di ogni componente dei nucleo familiare assume i connotati di un diritto inviolabile, la cui lesione da parte di altro componente della famiglia, cosi come da parte del terzo, costituisce il presupposto logico della responsabilità civile, non potendo chiaramente ritenersi che diritti definiti come inviolabili ricevano diversa tutela a seconda che i loro titolari si pongano o meno all’interno di un contesto familiare.

Il ruolo del giudice civile, pertanto, in caso di accertamento di una violenza fisica ingiustificata ai danni di una donna, è quello di fare corretta applicazione dell’istituto rimediale interno previsto dall’Ordinamento (artt. 2043, 2059 c.c.) anche per conformare il diritto interno a quello sovrazionale, costituito dagli obblighi internazionali assunti dallo Stato e dagli obblighi scaturiti dall’adesione al Trattato istitutivo della Comunità Europea.

Da ultimo, peraltro, deve ricordarsi quanto enunciato dalla Risoluzione del Parlamento Europeo del 26 novembre 2009 sull’eliminazione della violenza contro le donne, per comprendere l’esatta gravità e serietà del singolo atto di violenza:

1.   la violenza degli uomini nei confronti delle donne non costituisce meramente un problema di salute pubblica, ma anche una questione di diseguaglianza tra donne e uomini, ambito in cui l’Unione europea ha il mandato per intervenire;

2.   la violenza degli uomini nei confronti delle donne costituisce una violazione dei diritti umani, segnatamente il diritto alla vita, alla sicurezza, alla dignità, all’integrità mentale e fisica nonché alla scelta e alla salute sessuale e riproduttiva;

3.   la violenza degli uomini nei confronti delle donne ostacola la partecipazione delle donne alle attività sociali, alla vita politica, alla vita pubblica e al mercato del lavoro e può portare le donne all’emarginazione e alla povertà;

4.   la violenza contro le donne come madri esercita, direttamente e indirettamente, un impatto negativo duraturo sulla salute mentale ed emotiva dei loro figli, e può innescare un ciclo di violenza e di abusi che si perpetua di generazione in generazione;

 

Nel caso di specie si ricade senz’altro in un episodio di violenza contro le donne: l’espressione “violenza contro le donne” comprende, infatti, tutti gli atti di violenza contro il genere femminile che si traducono, o possono tradursi, in lesioni o sofferenze fisiche, sessuali o psicologiche per le donne, incluse le minacce di tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica che nella vita privata (per la definizione, senza esaustività, possono qui ricordarsi: lo studio approfondito del Segretario generale delle Nazioni Unite su tutte le forme di violenza nei confronti delle donne (2006), i lavori sugli indicatori della violenza elaborati dalle Nazioni Unite sulla violenza nei confronti delle donne (2008), la risoluzione 61/143 delle Nazioni Unite sul rafforzamento delle azioni condotte per eliminare tutte le forme di violenza nei confronti delle donne (2006).

Alla luce delle considerazioni espresse, va sicuramente ammessa l’azione risarcitoria esperita, senza possibilità di riconoscere alcuna esimente o scusante al convenuto, in vista di una riduzione dell’ammontare del quantum risarcitorio.

 

3. Risarcimento del Danno non Patrimoniale

Come noto (v. Corte cost., sentenza 15 dicembre 2010 n. 355), l’attuale sistema della responsabilità civile per danni alla persona, fondandosi sulla risarcibilità del danno patrimoniale ex art. 2043 cod. civ. e non patrimoniale ex art. 2059 cod. civ., è, pertanto, essenzialmente un sistema bipolare. La Corte di Cassazione, riconducendo ad organicità tale sistema, ha elaborato taluni criteri, legati alla gravità della lesione, idonei a selezionare l’area dei danni effettivamente risarcibili (citata sentenza n. 26972 del 2008). Di significativo rilievo, in particolare, sono le considerazioni che le Sezioni unite hanno espresso in ordine al fatto: che la lesione deve riguardare un interesse di rilievo costituzionale; l’offesa deve essere grave, nel senso che deve superare una soglia minima di tollerabilità; il danno deve essere risarcito quando non sia futile, vale a dire riconducibile a mero disagio o fastidio.  Nell’ipotesi di specie la risarcibilità del danno non patrimoniale subito dall’attrice è senz’altro ammessa: in primis, ricorre la lesione plurima di diritti costituzionali (2 e 32 Cost.); in secundis, comunque, sussiste in astratto il reato penale di lesioni dolose.

In merito alla quantificazione del danno, questo giudice reputa opportuno applicare le tabelle giurisprudenziali elaborate dall’Osservatorio della Giustizia civile di Milano, vigenti al momento dell’accaduto (2001), onde evitare la devalutazione dell’importo e pervenire ad una esatta quantificazione del danno cd. biologico.

Il danno biologico subito dall’attrice, alla data del 13 aprile 2001, è pari ad Euro 1.727,00.

La somma va, però, maggiorata pure del danno morale subito.

In relazione ad un fatto illecito costituente anche fatto reato, infatti, la valutazione unitaria del danno non patrimoniale deve esprimere analiticamente l’iter logico ponderale delle poste (sinteticamente descritte e tipicizzate in relazione agli interessi o beni costituzionali  lesi) e non già una apodittica affermazione di procedere ad un criterio arbitrario di equità pura, non controllabile per la sua satisfattività (Cass. civ., 13530/2009): «la posta del danno morale deve essere dunque comparata a quella del danno biologico, e non è detto a priori che il danno morale sia sempre e necessariamente una quota del danno alla salute, specie quando le lesioni attengano a beni giuridici essenzialmente diversi, tanto da essere inclusi un diverse norme della Costituzione. Al contrario ) il danno morale potrà assumere il valore di un danno ingiusto più grave, in relazione all’attentato alla dignità morale del minore ed alla compromissione del suo sviluppo interrelazionale e sentimentale».

Per il motivo sopra esposto, va accolta anche la domanda risarcitoria proposta sub specie di danno morale, nei limiti della quantificazione fornita dall’attrice, pari ad Euro 913,94, somma ritenuta adeguata nel caso di specie, per quanto già segnalato in parte motiva.

Il danno non patrimoniale complessivo, è di Euro 2640,94.

Vanno aggiunti rivalutazione e interessi legali.

Costituendo l’obbligazione di risarcimento del danno un’obbligazione di valore sottratta al principio nominalistico, la rivalutazione monetaria è dovuta a prescindere dalla prova della svalutazione monetaria da parte dell’investitore danneggiato ed è quantificabile dal giudice, anche d’ufficio, tenendo conto della svalutazione sopravvenuta fino alla data della liquidazione. È altresì risarcibile il nocumento finanziario (lucro cessante) subito a causa del ritardato conseguimento della somma riconosciuta a titolo di risarcimento del danno, con la tecnica degli interessi computati non sulla somma originaria né su quella rivalutata al momento della liquidazione, ma sulla somma originaria rivalutata anno per anno ovvero sulla somma rivalutata in base ad un indice medio.

Con decorrenza dal 13 aprile 2001, interessi e rivalutazione fanno lievitare l’importo all’attualità ad Euro 3.945,00.

 

4. Regolamentazione delle spese di lite

Le spese di lite seguono la soccombenza e vanno liquidate giusta la natura ed il valore della controversia, l’importanza ed il numero delle questioni trattate, nonché la fase di chiusura del processo. Non vi sono motivi per compensare nemmeno in minima parte le spese: addirittura il convenuto, invece che proporre soluzioni transattive, ha finanche chiesto la responsabilità dell’attrice per lite temeraria (domanda manifestamente infondata) così disvelando una condotta indifferente alle esigenze superiori di Giustizia.

Quanto all’ammontare delle spese, come hanno insegnato le Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, il principio di adeguatezza e proporzionalità impone “una costante ed effettiva relazione tra la materia del dibattito processuale e l’entità degli onorari per l’attività professionale svolta” (Corte di Cassazione, Sezioni Unite civili, sentenza 11 settembre 2007, n. 19014). Ad atti, risulta prodotta, nota spese del difensore della parte vittoriosa  ex art. 75 disp. att. c.p.c., che appare calcolata in modo congruo e che va dunque confermata.

Vanno aggiunti, il rimborso dell’Iva e del Cpa giusta l’art. 11 legge 20 settembre 1980, n. 576.

Le spese di CTU vanno poste a carico del convenuto soccombente

 

P.q.m.

 

Il Tribunale di Varese,

Sezione Prima Civile,

in composizione monocratica, in persona del giudice dott. Giuseppe Buffone, definitivamente pronunciando nel giudizio civile iscritto al n. … dell’anno 2004, disattesa ogni ulteriore istanza, eccezione e difesa, così provvede:

 

■ □ ■

 

Accerta e Dichiara l’esclusiva responsabilità del convenuto per le lesioni riportate dall’attrice in data 13 aprile 2001, in conseguenza della violenza subita dal primo;

 

Accoglie, nei limiti di cui in parte motiva, la domanda risarcitoria dell’attrice e per l’effetto Condanna il convenuto al risarcimento del danno non patrimoniale in favore della parte attrice che liquida all’attualità in €. 3.945,00, oltre interessi ulteriori, al saggio legale, dalla sentenza e sino al soddisfo;

 

Condanna la parte convenuta al rimborso delle spese del giudizio in favore della controparte che,

Liquida

come segue, ai sensi dell’art. 91 c.p.c.

Spese                                        €             258,71

Diritti                                         €          1.616,00

Onorari                                      €          1.080,00

Rimborso forfetario                    €             337,00

 

Vanno aggiunti il rimborso dell’Iva e del Cpa giusta l’art. 11 legge 20 settembre 1980, n. 576.

 

Pone a carico della parte convenuta le spese della consulenza tecnica d’ufficio, così come liquidate in corso di giudizio, condannandola alla restituzione delle somme versate a tale titolo dall’attrice in corso di giudizio, in conseguenza del decreto provvisorio di pagamento.

 

Manda alla cancelleria per i provvedimenti di competenza

 

Sentenza immediatamente esecutiva come per Legge

 

Varese, lì 24 febbraio 2011

 

Il giudice

dott. Giuseppe Buffone
 

[1] All’odierno giudizio è applicabile l’art. 58, comma II, legge 18 giugno 2009 n. 69 e, per l’effetto, la stesura della sentenza segue l’art. 132 c.p.c. come modificato dall’art. 45, comma 17, della legge 69/09, con omissione dello “svolgimento del processo” (salvo richiamarlo dove necessario o opportuno per una migliore comprensione della ratio decidendi).

 

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