La responsabilità degli enti sportivi Cass. civ. Sez. III, 13/07/2011, n. 15394

La responsabilità degli enti sportivi Cass. civ. Sez. III, 13/07/2011, n. 15394

longobardaCass. civ. Sez. III, 13/07/2011, n. 15394

La sentenza della Suprema Corte ci aiuta ad inquadrare meglio quli sono le responsabilità degli enti o istituti sportivi che hanno tra le proprie file atleti. Tali strutture sono infatti obbligate ad occuparsi dello stato di salute dei  propri atleti anche attraverso la prevenzione di eventi che possano pregiudicare la loro integrità psicofisica. A tal fine le strutture sportive rispondono, come stabilito dall’art. 2049 c.c. e art. 32 Cost., dell’operato dei medici di cui si sono avvalsi per l’organizzazione di tornei dilettantistici. Per la Cassazione infatti sussiste la responsabilità dell’ente sportivo in caso di morte dell’atleta che venga colto da malore durante un torneo, salvo che l’ente convenuto in giudizio non abbia previsto specificamente l’obbligo di visita medica ai fini della partecipazione a detto torneo.

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REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MORELLI Mario Rosario – Presidente

Dott. FILADORO Camillo – Consigliere

Dott. SPAGNA MUSSO Bruno – rel. Consigliere

Dott. D’ALESSANDRO Paolo – Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15431/2009 proposto da:

ACSI ASSOCIAZIONE CENTRI SPORTIVI ITALIANI DIREZIONE NAZIONALE (OMISSIS), in persona del suo Presidente in carica Dott. V. A., elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA ADRIANA 15, presso lo studio dell’avvocato COCCIA Massimo, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato CERQUETTI ROMANO giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.M.L. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BEETHOVEN 52, presso lo studio dell’avvocato IMBRIOSCIA RITA, rappresentato e difeso dall’avvocato BRIGNANO SILVIA LINA ZARA giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 372/2009 della CORTE D’APPELLO di TORINO, Sezione Terza Civile, emessa il 28/01/2009, depositata il 11/03/2009;

R.G.N. 182/2008;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/06/2011 dal Consigliere Dott. BRUNO SPAGNA MUSSO;

udito l’Avvocato CERQUETTI ROMANO;

udito l’Avvocato BRIGNANO SILVIA LINA ZARA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. APICE Umberto, che ha concluso per rigetto del ricorso.

svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 24.4.2002 M.M.L. evocava l’A.c.s.i. Associazione Centri Sportivi Italiani Direzione Nazionale dinanzi al Tribunale di Alessandria, esponendo: che il 27.2.1995 suo marito Va.Gi. (all’epoca trentatreenne) aveva accusato un malore nel corso di una partita di calcio nell’ambito di un torneo organizzato dall’Acsi ed era morto negli spogliatoi; che il decesso era stato ascritto a ischemia miocardica in soggetto affetto da grave ipertrofia cardiaca e aterosclerosi; che era emerso che il Va., come i compagni di squadra, era stato ammesso a partecipare al torneo senza essere sottoposto a visita medica con accertamento elettrocardiografico sotto sforzo; che A.R., responsabile dell’Acsi per le province di Asti e Alessandria, e S.S., presidente della società sportiva “(OMISSIS)” (nella cui squadra giocava il Va.) erano stati condannati in sede penale per omicidio colposo, nonchè al risarcimento del danno.

L’attrice sosteneva che l’Acsi era responsabile ex art. 2049 c.c., per quanto accaduto all’ A.; evidenziava che la colpa di quest’ultimo consisteva nell’aver redatto il regolamento del torneo senza prevedere l’obbligo di visita medica; chiedeva la condanna dell’Associazione al risarcimento del danno morale, biologico e patrimoniale derivante dalla perdita del contributo al mantenimento.

L’Acsi – Direzione nazionale si costituiva, contestando la propria legittimazione passiva, in quanto l’ A., presidente del Comitato provinciale, non era un suo subordinato, poichè il Comitato provinciale era completamente autonomo e la Direzione nazionale non aveva su di esso alcun potere di controllo.

Chiamata in causa la Milano Assicurazioni, con sentenza n. 9471/2006, il Tribunale di Alessandria dichiarava inammissibile la domanda, con assorbimento della richiesta di manleva verso la Milano Assicurazioni; affermavano, in particolare, i Giudici di primo grado che “dall’esame delle pattuizioni dei due statuti dell’Acsi prodotti dalle parti (vale a dire la carta statutaria approvata nel 1986 prodotta da parte attrice e quella prodotta dalla Direzione Nazionale dell’Acsi, riproducente il testo dello statuto vigente all’epoca dell’incidente) risultava che i Comitati Provinciali erano autonomi centri di imputazione di situazioni giuridiche, e quindi soggetti dotati di autonoma legittimazione processuale e negoziale. Invero, il Tribunale alessandrino evidenziava che già il testo dello statuto prodotto da parte attrice, non solo attribuiva espressamente ai Comitati Provinciali una soggettività giuridica distinta da quella della Direzione Nazionale, ma conteneva una serie di disposizioni che confermavano l’effettiva autonomia amministrativa, organizzativa e patrimoniale delle articolazioni locali dell’Acsi. La soggettività giuridica dei Comitati Provinciali era poi confermata, ad avviso del Giudice di prime cure, anche dalle norme del previgente statuto dell’associazione convenuta, che stabilivano non solo la piena autonomia amministrativa di tali comitati, ma attribuivano a siffatti organismi anche proprie fonti di finanziamento e pertanto un patrimonio distinto da quello della Direzione Nazionale”. A seguito dell’appello della M., costituitasi l’Acsi, la Corte d’Appello di Torino, con la decisione in esame depositata in data 2.12.2008, in accoglimento del gravame dichiarava l’Acsi legittimata passiva e per l’effetto obbligata al risarcimento, dei danni patrimoniali e non patrimoniali, in favore dell’appellante per la complessiva somma di Euro 270.436,32, oltre gli interessi legali;

affermavano in particolare i Giudici di secondo grado che l’Acsi era sovraordinata al Comitato provinciale su cui esercitava una piena funzione di controllo (“l’autonomia patrimoniale e finanziaria e l’indipendenza amministrativa riconosciute dall’art. 33 agli organismi locali vanno quindi interpretate restrittivamente, in assenza di un patrimonio di riferimento su cui si proietti la responsabilità patrimoniale, e quindi nell’ottica di una mera autonomia di gestione di risorse di cui gli organi locali hanno la materiale disponibilità ma non la titolarità effettiva”).

Ricorre per cassazione con tre motivi l’Acsi e relativi quesiti;

resiste con controricorso la M..

MOtivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione degli artt. 1362, 1363 e 1367 c.c., e relativo difetto di motivazione in relazione alla ritenuta legittimazione passiva dell’odierna ricorrente, anche con riferimento agli artt. 36 e 38 c.c.; si censura in particolare la non ritenuta autonoma soggettività giuridica dei Comitati Provinciali con legittimazione processuale distinta da quella dell’Associazione Nazionale, anche in relazione alla normativa civilistica sopra richiamata.

Con il secondo motivo si deduce violazione delle norme di cui al D.M. 28 febbraio 1983 e al D.M. 12 febbraio 1982 in tema di tutela dell’attività sportiva anche con riferimento all’attività sportiva in questione erroneamente ritenuta quale agonistica; si afferma in particolare che censurabile è la decisione impugnata nel punto in cui ha ritenuto negligente la condotta del responsabile del Comitato Provinciale di Asti in ordine all’omessa verifica del possesso da parte del Va. del certificato medico, proprio in considerazione di detta natura agonistica del torneo calcistico in questione.

Con il terzo motivo si deduce difetto di motivazione in ordine alla effettiva idoneità dei controlli medici ad accertare la patologia cardiaca del Va. anche con riferimento alla violazione dell’art. 2049 c.c..

Il ricorso non merita accoglimento in relazione a tutte le suesposte doglianze.

Quanto al primo motivo si osserva che, nel caso in esame, l’individuazione dell’autonoma o meno legittimazione passiva del Comitato Provinciale di Asti, organizzatore dell’evento sportivo, sulla base delle risultanze documentali di causa, tra cui gli statuti sia “nazionale” che “provinciale”, configura una quaestio facti non censurabile nella presente sede di legittimità e su cui la Corte di merito ha fornito ampia e logica motivazione, affermando in particolare che “l’autonomia patrimoniale e finanziaria e l’indipendenza amministrativa riconosciute dall’art. 33 agli organismi locali vanno quindi interpretate restrittivamente, in assenza di un patrimonio di riferimento su cui si proietti la responsabilità patrimoniale, e quindi nell’ottica di una mera autonomia di gestione di risorse di cui agli organi locali hanno materiale disponibilità ma non la titolarità effettiva.

La Corte ritiene pertanto che l’ambiguità dello Statuto, essenzialmente ingenerata dal contrasto fra l’art. 33 e il resto delle disposizioni (e in particolare le norme che disciplinano l’unicità del patrimonio) debba essere risolta in senso favorevole ai terzi che vengano a contatto giuridicamente rilevante con l’Associazione, che hanno diritto di pretendere trasparenza, inequivocità e chiarezza nelle norme costitutive che conformano la soggettività giuridica, che non hanno contribuito a creare e a cui sono estranei. Se persiste ambiguità interpretativa, massime in materia di responsabilità aquiliana, essa va risolta in senso protettivo del legittimo affidamento del terzo e in pregiudizio dell’Associazione che non ha redatto norme chiare nel costruire la soggettività delle sue articolazioni territoriali”.

Deve aggiungersi che la Corte di merito ha correttamente interpretato sia il principio che “l’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute” ex art. 36 c.c. “sono regolati dagli accordi degli associati”, in quanto è proprio sull’interpretazione di tali accordi statutari che si incentra la decisione impugnata sul punto, sia il principio della tutela (patrimoniale) dei terzi, ex art. 38 c.c., “per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione”, dando rilievo al relativo “affidamento” che gli stessi terzi facciano nei confronti di tali enti in ordine alla individuazione dei soggetti responsabili, affidamento che non può essere ostacolato da norme statutarie di non facile interpretazione.

Va ancora rilevato che, nella fattispecie in esame, non siamo in presenza di una figura associativa unica per la quale risulti agevole ovviamente sostenerne l’autonoma soggettività, non solo sulla base della normativa codicistica ma anche costituzionale (con particolare riferimento all’art. 2 Cost.) come già affermato da questa Corte (in particolare con la sentenza n. 8239/2000), ma si evidenzia una struttura associativa complessa costituita da una entità nazionale che ingloba in sè varie diramazioni “locali”, come del resto individuata dai giudici di secondo grado anche in base alla denominazione di detta struttura quale A.C.S.I. – Associazione Centri Sportivi Italiani; in definitiva, ai fini della responsabilità in questione, la soggettività giuridica è unica e, di conseguenza, spetta a quest’ultima, quale ente sovraordinato, la legittimazione passiva nella presente controversia.

Quanto al secondo e al terzo motivo la ratio decidendi impugnata con tali censure è riconducibile alle seguenti affermazioni: “la responsabilità dell’ A. discende specificamente dal fatto di aver consentito il tesseramento dei giocatori in difetto del certificato di idoneità fisica, che di fatto non veniva controllato, a quanto emerso dalla prassi secondo cui i certificati venivano trattenuti dalle singole società sportive, mentre solo i responsabili più scrupolosi dei club ne inviavano una fotocopia all’Acsi (come si evince dall’audizione come testi di alcuni presidenti di squadre di calcio affiliate all’Acsi e partecipanti allo stesso campionato)……… La stessa norma, dopo aver definito il concetto di attività agonistica riconducendola allo svolgimento di campionati e tornei organizzati dagli Enti di promozione per calciatori sopra i 14 anni, chiarisce che per la certificazione sono necessari visita medica, esame completo delle urine, elettrocardiogramma a riposo e sotto sforzo, pirografia (come richiesto anche dal D.M. 18 febbraio 1982). E quindi in buona sintesi, la responsabilità degli organi territoriali dell’Acsi scaturisce dall’aver consentito la partecipazione al Campionato in questione di un giocatore, che era stato tesserato su richiesta della società affiliata, omettendo di procedere alla preventiva visita medica e agli esami connessi (che avrebbero sicuramente rivelato la patologia ostativa) e dall’essersi astenuti dal pretendere per il tesseramento, come era previsto, la documentazione relativa (cfr. art. 27 lettera e dello Statuto e art. 2 Regolamento nazionale Acsi)”.

Tale ratio non è censurabile in quanto, a parte la corretta applicazione dell’art. 2049 c.c., ad una associazione sportiva organizzatrice di un torneo di gioco (sul punto già Cass. n. 85/2003), per cui gli enti sportivi sono tenuti a tutelare la salute degli atleti anche attraverso la prevenzione di eventi pregiudizievoli la loro integrità psicofisica e ne rispondono, in base al disposto di detta norma e dell’art. 32 Cost., in relazione all’operato dei propri medici e del personale, deve rilevarsi che correttamente è stato ritenuto dalla Corte territoriale sia che l’attività in questione è da qualificarsi come agonistica sia che l’omessa acquisizione di certificazione medica riguardante il Va., ai fini della partecipazione al torneo, ha determinato il sorgere della responsabilità in questione a carico dell’A.c.s.i..

Non può infatti non ritenersi agonistico un torneo sportivo fondato sulla gara e sulla competizione tra i partecipanti, come il torneo di calcio in questione, tale da implicare un maggior impegno psicofisico ai fini del “prevalere” di una squadra su un’altra.

Ne consegue che pienamente applicabile sono le norme di cui al D.M. 18 febbraio 1982 in tema di “tutela sanitaria dell’attività sportiva agonistica” con particolare riferimento all’art. 1, ove è previsto che “ai fini della tutela della salute coloro che praticano attività sportiva agonistica devono sottoporsi previamente e periodicamente al controllo dell’idoneità specifica alla sport che intendono svolgere o svolgono”, e all’art. 3 che statuisce che “ai fini del riconoscimento dell’idoneità specifica ai singoli sport i soggetti interessati devono sottoporsi agli accertamenti sanitari previsti, in rapporto allo sport praticato, nelle tabelle A e B di cui all’allegato 1 del presente decreto, con la periodicità indicata nelle stesse tabelle. Il medico visitatore ha facoltà di richiedere ulteriori esami specialistici e strumentali su motivato sospetto clinico. Gli sport non contemplati nelle sopraccitate tabelle sono assimilati, ai fini degli accertamenti sanitari da compiersi, a quello che, tra i previsti, presenta maggiore affinità con il prescelto dell’interessato”.

Pertanto, il non aver l’A.c.s.i. predisposto un regolamento del torneo con la previsione dell’obbligo di visita medica e il non aver detta associazione sottoposto a visita medica il Va. o quantomeno chiesto idonea ed adeguata certificazione medica ai fini della partecipazione a detto torneo, di natura agonistica, comporta il sorgere della responsabilità ex art. 2049 c.c. (poichè ove tali adempimenti fossero stati eseguiti con elevata probabilità il Va. non avrebbe potuto partecipare alla gara e non sarebbe deceduto), con consequenziale obbligo al risarcimento dei danni, così come stabilito dalla Corte di merito.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna l’A.c.s.i. al pagamento delle spese della presente fase che liquida in complessivi Euro 7.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi), oltre spese generali ed accessorie come per legge.

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