IL RITARDO DEL TRENO DETERMINA SOLO IL RISARCIMENTO DANNI PATRIMONIALI
Corte di cassazione – Sentenza 4 maggio 2018 n. 10596
La Suprema Corte di Cassazione, con la Sentenza n. Corte di cassazione – Sentenza 4 maggio 2018 n. 10596 ha stabilito che treno che arriva a destinazione, con oltre cinque ore di ritardo e con i viaggiatori raffreddati per il freddo patito durante il tragitto, determina solo un risarcimento del danno patrimoniale con la conseguente, restituzione, solo del 50% del prezzo del biglietto e non di altro
La Corte si è trovata alle prese con una vicenda in cui un treno, partito dalla stazione di Milano Rogoredo, era giunto nella cittadina di Pontremoli con oltre cinque ore di ritardo, per colpa di un guasto.
Nel caso de quo, due coniugi hanno chiamato in causa Trenitalia per sentirla condannare al danno patrimoniale e non patrimoniale. Il giudice di pace – alla luce delle testimonianze – aveva riconosciuto anche il danno non patrimoniale proprio in virtù della sofferenza e di estremo disagio vissuti da chi si trovava a bordo. Decisione che, tuttavia, non è stata accolta dal Tribunale secondo cui se da una parte riconosceva che fosse onere del vettore l’obbligo di un’adeguata manutenzione del mezzo di trasporto, dall’altra riteneva che le cinque ore di ritardo, potessero integrare, al massimo un non corretto adempimento contrattuale da parte di Trenitalia;
il danno, pertanto, da riconoscere era solo patrimoniale e doveva corrispondere alla restituzione del 50 per cento di quanto versato per l’acquisto del titolo di viaggio.
La Cassazione ha rilevato come il ragionamento dei giudici del Tribunale fosse corretto e immune da vizi, ricordando, infatti, come il risarcimento del danno non patrimoniale sia azionabile nella misura in cui sussista una grave e seria violazione di specifici diritti inviolabili della persona. Quindi risultano palesemente non meritevoli di tutela risarcitoria i pregiudizi consistenti in disagi, fastidi, disappunti, ansie e ogni altro tipo di insoddisfazione concernenti gli aspetti più disparati della vita quotidiana che ciascuno conduce nel contesto sociale e che ogni persona inserita nel complesso sociale, deve accettare in virtù di convivenza “un grado minimo di tolleranza”. Si legge nelle decisone che il giudice di appello ha ritenuto che il pregiudizio esistenziale, lamentato dagli attori era risultato provato, ma non aveva superato “quella soglia di sufficiente gravità e compromissione del o dei diritti lesi, individuata in via interpretativa dalle Sezioni unite del 2008 (sentenza n. 26972/08) quale limite imprescindibile al risarcimento del danno non patrimoniale.