Il negozio di investimento in strumenti finanziari. Gli obblighi comportamentali della Banca ed i rimedi civilistici contro le relative violazioni. Osservazioni conclusive. A cura dell’Avv. Luca Scarone

Il negozio di investimento in strumenti finanziari. Gli obblighi comportamentali della Banca ed i rimedi civilistici contro le relative violazioni. Osservazioni conclusive. A cura dell’Avv. Luca Scarone

banca file okIl negozio di investimento in strumenti finanziari. Gli obblighi comportamentali della Banca ed i rimedi civilistici contro le relative violazioni. Osservazioni conclusive. A cura dell’Avv. Luca Scarone

Quando si decide di rivolgersi alla propria filiale (o SIM, o SGR) per chiedere un consiglio su come investire i propri risparmi occorre tenere ben presenti alcune, precise, regole di comportamento che l’operatore bancario (rectius, l’istituto bancario per il quale il medesimo lavora) è obbligato, per legge, a rispettare.

E ciò, si noti, con riferimento sia al contratto che ci inviterà a sottoscrivere (cioè il c.d. “contratto quadro” ovvero il contratto di investimento che regolerà tutti i rapporti tra noi e la Banca) sia ai singoli ordini, di acquisto o vendita titoli che, in forza del suddetto contratto quadro, andremo ad eseguire.

Dette regole esistono principalmente per tutelare il risparmiatore poiché tendono ad ovviare, quanto più possibile, al problema principale che le origina: l’asimmetria informativa che, in grado più o meno intenso, esiste sempre tra il patrimonio di conoscenze dell’operatore e quello del singolo investitore.

Perché è importante conoscerle? Per accorgersi se vengono o meno violate.

Se ciò succede: a) chiediamone conto a chi ci sta di fronte; b) se la risposta non ci soddisfa, approfondiamo la questione e, se mai, apriamo il nostro conto titoli presso un altro operatore bancario.

Se proprio si desidera continuare a coltivare il rapporto in filiale, limitiamoci a portare a casa copia dei documenti che ci vengono forniti per rileggerli e tentare di capirli meglio senza, ovviamente, firmare nulla.

Quali sono queste regole di comportamento?

Esse sono principalmente rinvenibili negli artt. 26 comma 1 lett. e), 28 comma 1 lett. a), 29 comma 1, 96 comma 3 del regolamento Consob n. 11522/98 nonché nell’art. 21 comma 1 lett. b) D. legisl. 58/1998 (c.d. T.U.I.F.)

In sostanza queste norme obbligano l’intermediario:

a) a possedere una adeguata conoscenza dei servizi e prodotti finanziari, propri o di terzi, che offre in vendita.

b) a comportarsi nei confronti del cliente con correttezza, trasparenza e diligenza professionale, per servire al meglio l’interesse del medesimo e per tutelare l’integrità dei mercati.

c) ad informarsi dal cliente in merito alla sua concreta esperienza in materia di investimenti finanziari, alla sua situazione finanziaria, ai suoi obiettivi di investimento, alla sua propensione al rischio.

d) ad astenersi dall’effettuare operazioni, anche se espressamente impartite dal cliente, inadeguate rispetto a costui.

e) a verificare che il cliente abbia compreso le caratteristiche essenziali dell’operazione propostagli, con riferimento, in particolare, ai costi ed ai rischi connessi, rendendolo così pienamente consapevole della propria decisione di investimento, ed operando in modo da tenerlo sempre e costantemente adeguatamente informato.

Quali sono le conseguenze ed i rimedi esperibili dal cliente qualora una delle suddette regole venisse infranta?

Il punto di partenza è dato dal fatto che, purtroppo, manca nel nostro ordinamento una specifica norma che sanzioni tale violazione.

Si sono susseguite negli anni, pertanto, diverse pronunce giurisprudenziali in merito, assai ondivaghe sulla soluzione da adottarsi in concreto (nullità, annullabilità).

Una recente sentenza della Corte di Appello di Milano (n. 144 del 16 gennaio 2013), riprendendo la tesi espressa dalla Cassazione a Sezioni Unite (pronuncia n. 26724/2007), sulla premessa per cui la normativa sull’intermediazione finanziaria è dotata, in effetti, di carattere imperativo in quanto dettata non solo per tutelare l’interesse del singolo, quanto quello dell’intera collettività, ha escluso, tuttavia, che la violazione di una o più di tali norme comporti tout court la nullità del contratto di intermediazione (contratto quadro) oppure dei singoli atti negoziali conseguenti.

Ciò perché, tali norme attengono il comportamento del contraente (la Banca) e non la fase genetica del contratto (laddove invece il contratto sarebbe sì nullo, ex art. 1418 3° co. c.c.).

La loro violazione potrà dunque comportare il sorgere di una responsabilità precontrattuale, con conseguente obbligo di risarcimento dei danni, ove tale violazione avvenga nella fase precedente o coincidente con la stipulazione del contratto di intermediazione destinato a regolare i successivi rapporti tra le parti.

Darà luogo, invece, a responsabilità contrattuale ed eventualmente condurre alla risoluzione del contratto, ove si tratti di violazioni riguardanti le operazioni compiute in esecuzione del contratto.

Netta quindi è la differenziazione tra le regole di comportamento sottese alla formazione ed esecuzione del vincolo contrattuale (che, si ripete, non comportano la nullità del contratto quadro) e le regole di validità del contratto stesso.

Quanto alla misura del risarcimento del danno, essa dovrà essere commisurata: a) al minor vantaggio ovvero al maggior aggravio economico causato dal comportamento scorretto tenuto dall’istituto bancario nel corso delle trattative contrattuali ovvero b) nel caso di violazione consumata nel corso dell’esecuzione del contratto, riferita a tutti i danni patiti a causa dell’inadempimento contrattuale stesso (ad esempio la perdita in conto capitale).

Tutte ipotesi, purtroppo, che, in fin dei conti, gravano l’investitore del pesante onere di provare in giudizio le ragioni in diritto ed in fatto sottese all’azione civile di responsabilità che intende esercitare.

Si pensi, in particolare, all’onere di provare la colpa dell’intermediario nella violazione degli obblighi informativi che precedono la stipula del contratto quadro.

Sarà quindi, a parere dello scrivente, non facile giungere ad una sentenza favorevole e soddisfacente per il privato investitore, se non per casi del tutto oggettivi (assenza di documentazione obbligatoria, assenza di sottoscrizione di prospetti informativi) od eclatanti (si pensi alle classiche ipotesi delle persone anziane “spinte” a comprare prodotti altamente speculativi, senza ragione plausibile).

Invero esiste sempre, sia per gli investimenti di natura, anche prevalentemente obbligazionaria che, a maggior ragione, di natura azionaria, una componente di rischio, dettata non tanto o non solo dalle normali oscillazioni dei mercati quanto dallo stretto legame, che assume valenza sempre più sistemica, sussistente tra il mondo della finanza, guidato per lo più da regole tecniche e da automatismi (sempre più rilevante sta diventando il ruolo dei sistemi automatici di trading, spesso utilizzati da grandi fondi) e la società civile, governata dalle scelte politiche ed influenzata, a volte repentinamente, dagli accadimenti storici, il più delle volte del tutto imprevedibili anche per gli stessi operatori di settore.

E’ forse anche per questo motivo che i risparmiatori italiani non hanno mai rinunciato ad investire buona parte dei propri patrimoni nei titoli di stato italiani. Ad un semplice funzionamento degli stessi, infatti, si accompagna la circostanza per cui le informazioni che, principalmente, ne regolano l’oscillazione (la tenuta dei conti pubblici unita alla c.d. credibilità ed affidabilità delle scelte di politica governativa italiana ed europea) sono, tendenzialmente, alla portata di tutti, mentre, di converso, è oggettivamente assai scarsa, per chi ne segue le vicende dall’esterno, l’affidabilità e trasparenza del flusso di informazioni relativo, ad esempio, al bilancio ed allo stato patrimoniale di una s.p.a.

A ciò si aggiunga l’arretratezza culturale del nostro Paese rispetto all’esigenza, oramai improcrastinabile, di dotarsi di un valido sistema educativo liceale che abbia a cuore l’insegnamento, quantomeno, delle basi e dei principi che regolano i mercati finanziari e l’economia. Solo da pochi anni, infatti, sta prendendo piede in Italia l’indirizzo liceale “economico-sociale”.

Quanto sopra, unito ad altre circostanze negative quali la scarsa credibilità che oramai hanno le agenzie di rating, l’esistenza di importantissimi conflitti di interesse tra il sistema bancario e le società quotate, il continuo avvicendarsi di eclatanti episodi di mala gestio dei risparmi privati, la scarsa efficienza dei sistemi di vigilanza offerti da Consob e Banca d’Italia, non possono far altro che completare il quadro a tinte fosche dell’attuale offerta di gestione del risparmio proposta dalle banche italiane.

Il che dovrebbe rendere ancor più evidente la necessità di un forte rafforzamento normativo della tutela del singolo risparmiatore che si avvicina al sistema bancario per effettuare un investimento e che potrà, naturalmente, rischiare, se lo vorrà ma, allo stesso tempo, dovrà essere messo nelle giuste condizioni per farlo in maniera consapevole nonché di porvi rimedio, qualora questa consapevolezza non vi sia stata, per colpe non sue.

Avv. Luca Scarone

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