Diritto di cronaca. Limiti. Un caso concreto a cura dell’avv. Luca Larato

  1. A) Introduzione

Il problema pratico, che si vuole contribuire a risolvere, è se chi opera nei mezzi di informazione sia completamente libero di lavorare (informare) sulla vita di un personaggio pubblico ovvero, se non lo è, in che modo.

L’argomento è molto vasto a causa della molteplicità di interessi (riservatezza, onore, informazione…) fondamentali coinvolti. Pertanto, si corre il rischio d’essere superficiali e/o poco attenti nel proporre la soluzione del problema in uno scritto breve. Allora, ci si scusa immediatamente, qualora il presente articolo fosse viziato come sopra temuto.

Il migliore metodo sarebbe quello di scrivere di teoria, partendo da un caso praticamente accaduto come quello sotto raccontato.

Un sacerdote di un paesino di provincia regala alcuni beni ecclesiali della sua Parrocchia alla Curia.

Il più diffuso giornale regionale, in base ad alcune affermazioni di un paio di parrocchiani, lo apostrofa, affermando di lui e della vicenda:

1) «…nottetempo, i cherubini…sono volati via insieme con un altare, sacrificati all’ansia di modernizzazione di padre………… Donati alla Curia…»;

2) «…un’espropriazione, un furto, secondo i parrocchiani»;

3) «…sparizione…(dei beni donati, n.d.r.)»; ed inoltre, di là della circostanza “de qua”:

4) «…il parroco si era sbarazzato delle vecchie campane…»;

5) «Il fervore rivoluzionario di ……….. non si è spento…la Soprintendenza gli ha tirato le orecchie per avere rimosso la balaustra settecentesca…» «…la balaustra …sparì ugualmente…»;

6) «…il parroco si era sbarazzato delle vecchie campane…».

Le superiori parole sono coerenti con un corretto esercizio della professione giornalistica e con il diritto di informazione del lettore di un giornale? La risposta non può prescindere dall’esame dei limiti fissati all’esercizio del diritto di cronaca.

  1. B) Il limite della continenza

Il primo confine, che il giornalista non deve superare nell’esercizio del diritto di cronaca, è la “continenza”.

La Cassazione penale (n. 208/´05) fissa i connotati del limite della continenza come segue: 1) soddisfacimento delle ragioni dell’informazione; 2) necessità di un’efficace comunicazione; 3) liceità di termini corrosivi idonei ad una migliore informazione; 4) divieto di una pretestuosa denigrazione e di espressioni sovrabbondanti rispetto ai connotati di cui ai numeri precedenti.

Espressi questi connotati, s’osserva quanto segue.

«…nottetempo, i cherubini…sono volati via insieme con un altare, sacrificati all’ansia di modernizzazione di padre………. Donati alla Curia…», «…un’espropriazione, un furto, secondo i parrocchiani». La vicenda consiste nella donazione di cherubini di marmo alla Curia da parte del parroco. Quindi, corretta ed efficace informazione avrebbe avuto ad oggetto la donazione. Di questa donazione erano informati i parrocchiani. Così, non sarebbe stato permesso rappresentare l’operazione come un furto.

Se si fossero eliminate le espressioni «…i cherubini…sono volati via…», «…sacrificati all’ansia di modernizzazione di padre …» e «…un’espropriazione, un furto, secondo i parrocchiani», la corretta ed efficace informazione a proposito della donazione sarebbe stata ugualmente fornita né è possibile affermare che le frasi citate siano idonee a fornire una migliore cronaca del fatto.

Anzi l’espressione «…un’espropriazione, un furto, secondo i parrocchiani» dà un’informazione distorta, perché comunica al pubblico che il parroco è un ladro ovvero che si comporta come tale.

S’affermerà che è riportata l’opinione dei parrocchiani, ma una corretta informazione avrebbe imposto il virgolettato e la pubblicazione dei nomi dei portatori di queste convinzioni.

Nell’articolo esaminato diverse dichiarazioni apparivano virgolettate con l’indicazione del loro autore. Quindi, deve essere valutato con maggiore rigore il fatto che proprio le parole «espropriazione» e «furto» siano carenti sia del virgolettato sia dell’indicazione del loro autore («…secondo i fedeli» è espressione troppo generica, per soddisfare i criteri sopra citati). Così, se ne può dedurre che i fatti (espropriazione e furto) costituiscano opinione del redattore, non essendo riferibili ad alcun suo informatore.

Per esprimere legittimamente il senso di deprivazione di pochi parrocchiani, esistono altre espressioni nella lingua italiana, non colorite penalmente (es,, diffamazione). Inoltre, un “sentimento” (senso di deprivazione) non è “fatto”, immune dall’interpretazione e dalla colorazione soggettiva, le quali ne dà il giornalista. Quindi, il lettore non si può fare un’opinione di un fatto oggettivamente accertabile, bensì deve farsi un’opinione di un sentimento come filtrato dall’autore del pezzo giornalistico. È facile intuire che in quest’ultimo caso la manipolazione dello strumento giornalistico a fini personali di qualcuno sarebbe libera come anche quella della formazione della apparentemente libera opinione.

Anche il termine «…sparizione…» è fuorviante, perché, se i beni ecclesiali sono stati donati legittimamente, consapevoli i parrocchiani, è falso che siano scomparsi. Pertanto, tale parola distoglie il lettore da una corretta, efficace e migliore informazione, traendolo in una rete di ambiguità e reticenze incompatibili con il leale esercizio del diritto di cronaca.

«…il parroco si era sbarazzato delle vecchie campane…» è frase, che avrebbe dovuto informare che l’originario e vetusto meccanismo di comunicazione della Chiesa era stato cambiato con uno più nuovo e moderno. Non sembra corretto ed efficace affermare che il parroco si sia sbarazzato delle campane né che ciò serva ad una migliore informazione, salvo che si avesse lo scopo di avvertire il lettore che del sacerdote non è possibile avere fiducia per i suoi modi sbrigativi ed astuti.

«Il fervore rivoluzionario di ………. non si è spento…la Soprintendenza gli ha tirato le orecchie per avere rimosso la balaustra settecentesca…» «…la balaustra …sparì ugualmente…». In questo caso la corretta ed efficace informazione ha ad oggetto la sostituzione della balaustra e la reazione della Soprintendenza, circostanze aggiunte “alla bisogna” al vero e proprio contenuto dell’articolo (donazione dei Cherubini), come la questione delle campane.

Le espressioni riportate, però, di cosa ci informano? Ci comunicano che il parroco è guidato da “fervore rivoluzionario” (è un marxista – leninista, per caso?) e che ha subito una tirata d’orecchie (virtuale punizione corporale) dalla Soprintendenza. Ciò malgrado, ancora una volta “l’astuto” sacerdote avrebbe magicamente fatto scomparire il bene sacro (balaustra).

In realtà, il giornalista non ha spiegato le rimostranze (sull’illegittimità o sull’inopportunità della sostituzione) della Soprintendenza ai Beni Culturali né il collegamento tra sostituzione della balaustra da una parte e fervore rivoluzionario dall’altra.

Non essendoci corretta ed efficace informazione, è naturale che le espressioni menzionate non possano affermarsi anche come termini corrosivi diretti ad una migliore informazione.

Le espressioni riportate espongono il loro destinatario al pubblico ludibrio, esulando da quei minimi principi di correttezza e lealtà, i quali impediscono di sottoporre chiunque a processo “coram populo”.

Le frasi e le parole utilizzate dal giornalista sono superflue rispetto allo scopo di fornire una corretta informazione all’opinione pubblica (donazione dei Cherubini alla Curia nonché sostituzione delle campane e della balaustra di marmo). Infatti, operando ex ante ed eliminando ipoteticamente le espressioni offensive ed allusive, allo stesso modo le notizie sarebbero state date più oggettivamente e più coerenti con la realtà dei fatti. Si potrebbe affermare che le frasi e le parole offensive fossero necessarie a fornire una migliore informazione, ma non è questo il caso. Le espressioni “de quibus” informano su una pretesa natura malandrina del parroco, smentita in diverse occasioni dallo stesso giornale, autore della pubblicazione, e non corroborata da una seria e pertinente indagine, di là delle dichiarazioni di un paio di parrocchiani.

  1. C) Parametro della proporzionalità

Un altro limite al diritto di cronaca è la “proporzionalità”.

I suoi connotati sono: 1) critica graffiante in relazione all’importanza del fatto; 2) divieto di attacchi alla figura morale del soggetto criticato (Cass. civile 22527/´06).

L’importanza del fatto deve essere rapportata ad una donazione verso la Curia e alla manutenzione (sostituzione delle campane e della balaustra di marmo) dell’edificio ecclesiastico, operazioni sulla liceità delle quali nessuna Autorità preposta ha mosso contestazioni né ha irrogato sanzioni al sacerdote.

Però, questi fatti hanno meritato un articolo a cinque colonne. Poiché il parroco, oggetto dell’interesse giornalistico, non sarà l’unico a compiere queste donazioni e a provvedere alla conservazione dell’edificio sacro, si teme che le cinque colonne piene di epiteti, inutili al racconto dei fatti e ad una proporzionata critica, siano da rapportare all’astio di un paio di parrocchiani.

Pertanto, già questa considerazione è sufficiente ad escludere uno dei termini del rapporto di proporzionalità: importanza del fatto narrato (donazione e manutenzione). In tal modo, l’articolo è diventato uno strumento amplificatorio della rabbia di qualcuno. Infatti, si sa che normalmente senso di deprivazione (per la cui esistenza, v. sopra il capitolo precedente) e rabbia sono collegati.

Esistono “subdoli espedienti”, dietro cui si nascondono varie forme di offesa indiretta: a) il sottinteso sapiente («…a distanza di sei anni dalla sparizione…», «…la Soprintendenza gli ha tirato le orecchie…», «…la balaustra dopo un po’ sparì ugualmente…»); b) gli accostamenti suggestionanti («…fervore rivoluzionario…», «…sacrificati all’ansia di modernizzazione di padre …»); c) le vere e proprie insinuazioni («…nottetempo i cherubini sono volati via…», “espropriazione”, “furto”, «…si era sbarazzato delle vecchie campane…»).

Epiteti quali “bugiarda”, “ipocrita” e “pinocchietta”, ai quali è possibile equiparare l’espressione «…la Soprintendenza gli ha tirato le orecchie…», sono stati considerati di contenuto illecito da Cassazione penale 18.01.2007 n. 6503.

Anche l’espressione «di matrice moscovita», cui sono equiparabili «…fervore rivoluzionario di …» e «…sacrificati all’ansia di modernizzazione di padre …», è stata ritenuta dileggiante, inutilmente volgare e umiliante (cfr. Cass. pen., Sez. V, 11 maggio 2006 n. 23712).

La pesantezza del linguaggio utilizzato dal giornalista non è giustificata anche alla luce della natura dei fatti raccontati. La donazione degli angeli e la manutenzione dell’edificio ecclesiastico, sebbene abbiano provocato contestazioni da parte di alcuni parrocchiani, non si possono affermare come fatti talmente gravi, da essere commentati nel modo “spregiudicato” usato dall’autore dell’articolo.

  1. D) Violazione del principio di verità

Il diritto di cronaca deve anche obbedire al “principio di verità”.

Nell’articolo esaminato tale principio subisce una violazione reiterata per una molteplicità di motivi.

Innanzi a tutto, non è comprensibile perché il giornalista  abbia arricchito un articolo, avente ad oggetto l’informazione sulla donazione degli angeli, con la notizia di iniziative precedenti, quali la sostituzione delle campane e della balaustra di marmo. È indubbio che ciò abbia consentito di scrivere di «sparizione», «fervore rivoluzionario», «ansia di modernizzazione», «tirata di orecchi»…, accrescendo la pesantezza dell’attacco personale al parroco.

Sembra, così, che il giornalista abbia inteso dare un’immagine dequalificante del parroco, più che informare sulla donazione degli angeli, in ciò supportato dall’aggiunta di notizie a proposito di fatti anteriori, che nulla avevano da condividere con l’oggetto dell’articolo (fattispecie simile è trattata in Cass. 22527/´06 ed in Cass. 8953/´06).

Il giornalista, inoltre, ha insinuato la sussistenza di condotte illecite (furto, sparizione, espropriazione), senza che vi sia stata la minima prova delle medesime (cfr., per una fattispecie simile, Cass. pen., Sez. V, 30 novembre 2005). Ne consegue la gratuità dei giudizi espressi nell’articolo, che non produce alcun ragionamento a sostegno delle espressioni “de quibus” (cfr., in merito, Cass. pen., Sez. V, 4 marzo 2005 n. 15001, in Dir. & Giur., 2005, 25, 80).

L’articolo in commento, pertanto, accerta la commissione di reati in dispregio al principio di non colpevolezza sino a prova contraria (in merito, Cass. pen. 2210/´96), violando non soltanto il principio di verità, ma anche l’art. 2 Legge 3 febbraio 1963 n. 69, il cui I comma ha il seguente contenuto: «È diritto insopprimibile dei giornalisti la libertà di informazione e di critica, limitata dall’osservanza delle norme di legge dettate a tutela della personalità altrui ed è loro obbligo inderogabile il rispetto della verità sostanziale dei fatti, osservati sempre i doveri imposti dalla lealtà e dalla buona fede».

Il giornalista ha violato la verità dei fatti, poiché li ha raccontato in modo sostanzialmente diverso da come li ha acquisito (cfr. in merito Cass. Pen. Sez. V 14 gennaio 2002 n. 1183 – Cass. pen. Sez. V 23 gennaio 1997 n. 6018, in Cass. Pen., 1999, 853), proponendoli falsamente «…in una luce artificiosamente emblematica…» (cfr. Trib. Bologna 1272/´05, in “Il Sole 24Ore”, del 7 novembre 2005 n. 304, 43).

Nella fattispecie si può concludere per la presenza di una sostanziale discrasia tra fatti accaduti (“res gestae”) e fatti narrati (“historia rerum gestarum”), la quale definisce un concetto di «falsità», necessariamente sanzionabile.

  1. E) Replica del soggetto interessato

La replica, concessa al parroco, non è un’esimente della diffamazione e della violazione dei principi in materia di libera manifestazione del pensiero a mezzo stampa.

Infatti, il contraddittorio tra soggetto diffamato e contenuto (fatti narrati ed opinioni) dell’articolo diffamatorio non equivale a manifestazione tacita di consenso alla pubblicazione del medesimo. Difendersi da un’accusa non esprime la volontà di consentire che l’accusa stessa sia pubblicamente diffusa.

Pubblicare l’opinione del preteso diffamato non esime dal divieto di diffondere una notizia diffamatoria, perché, in ogni modo, la sua reputazione sarebbe offesa agli occhi di chi non ritenesse prevalente l’opinione del diffamato su quella diffamatoria.

  1. F) Conclusioni

In sintesi, l’articolo esaminato ha violato, secondo l’orientamento di un’intelligente giurisprudenza, i limiti all’esercizio del diritto di cronaca.

Questi limiti sono stati elencati e ne è stata fornita una contestualizzazione pratica più che teorica.

Così, è possibile concludere che la sagacia di ogni buon giornalista è l’unica garanzia di un’informazione efficace, imparziale e corretta, tale da proteggere anche altri beni costituzionali primari quali riservatezza, onore, dignità…della persona.

È ovvio che i detrattori della soluzione proposta obietteranno che le espressioni giornalistiche esaminate sono state decontestualizzate.

Questa scelta, però, è stata necessitata dall’esigenza di proteggere gli interessati dalla violazione del loro diritto alla riservatezza e di non coinvolgerli in uno scritto, non legato alla loro vicenda specifica.

In ogni modo, i fatti sono stati raccontati con la maggiore dovizia di particolari, per offrirne una rappresentazione quanto più completa possibile. È, infine, opinione personale che, anche trascrivendo integralmente l’articolo “de quo”, il contenuto del presente scritto non sarebbe cambiato.

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