DIRITTO DEL LAVORO RICONOSCIUTO IL DANNO DA “STRAINING”

Cassazione Sezione Lavoro ordinanza n. 7844 del 29.03.2018 –

La Corte di casaszione  appare sempre più orientata ad ammettere il risarcimento del cosiddetto danno da straining, cioè di quel danno che   altro non è, se non una forma attenuata di mobbing nella quale manca il carattere della continuità delle azioni vessatorie; ciò non toglie, però, che anche lo straining possa giustificare il risarcimento del danno, ove l’azione vessatoria vada a minare l’integrità psico-fisica del lavoratore.

Tale orientamento è stato  confermato dalla sentenza n. 7844, depositata il 29.03.2018, con la quale la Corte  di Cassazione ha riconosciuto il danno da “stress forzato” in capo a un dipendente costretto “a lavorare in un ambiente di lavoro ostile, per incuria e disinteresse nei confronti del suo benessere lavorativo”; andando nello specifico, la Suprema Corte, ha ribadito  la correttezza delle motivazioni addotte dalla sentenza impugnata, laddove il giudice di merito aveva adeguatamente motivato in ordine alla situazione lavorativa conflittuale del ricorrente, il quale pur avendo diritto all’inquadramento nella categoria dirigenziale era stato allontanato dalla direzione generale e deriso con l’inoltro  di lettere di scherno, diffuse nell’istituto di credito  dove lo stesso prestava la sua attività.

In tale ambito lavorativo, il dipendente di banca avrebbe subito azioni ostili anche se limitate nel numero e in parte differite nel tempo e, dunque, non riconducibili alla figura di mobbing, ma in ogni caso in grado di provocare in lui un cambiamento  in negativo, costante e permanente, della situazione lavorativa, idonea a pregiudicare il diritto alla salute, diritto garantito dalla costituzione.

Nello specifico, i giudici di legittimità hanno censurato il comportamento del datore di lavoro, il quale sarebbe venuto meno all’obbligo di evitare situazioni, di stress al dipendente, tali da dare origine a una condizione di grave frustrazione personale o professionale. Ne conseguiva quindi,   il diritto del lavoratore al risarcimento del danno non patrimoniale, inteso come lesione del diritto al normale svolgimento della vita lavorativa e alla libera e piena esplicazione della propria personalità sul luogo di lavoro, anche nel significato “areddituale” della professionalità.

 

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