Comodato ed assegnazione della casa familiare. Prevalenza. A cura dell’Avv. Luca Larato

Comodato ed assegnazione della casa familiare. Prevalenza. A cura dell’Avv. Luca Larato

casaComodato ed assegnazione della casa familiare. Prevalenza. A cura dell’Avv. Luca Larato

In questo articolo di presentazione prima di tutto cerco di illustrare i tre principali metodi di scrittura, cui obbedirò.

Innanzi a tutto, esamino un caso concreto, che può accadere nella vita d’ogni giorno. Questo caso concreto provoca una problematica, che gli studiosi cercano di risolvere in un certo modo.

Inoltre, cerco di esprimere un’opinione personale a proposito delle soluzioni adottate dagli studiosi.

In questo cammino cerco d’usare un linguaggio il più comprensibile a tutti senza perdere i naturali tecnicismi della materia.

Terminata la premessa, è il momento di presentare il caso concreto.

Supponiamo che Tizio, genitore di Caio, presti, senza chiedere nulla in cambio (comodato), al figlio una propria abitazione, per usarla come casa familiare dal momento del suo matrimonio con Sempronia.

 

Il matrimonio tra Caio e Sempronia va male e i due si separano giudizialmente davanti il Tribunale. Il Giudice, a tutela del loro figlio minore, Mevio, assegna la casa familiare alla madre Sempronia.

Sino a qui il caso concreto. Qual’è la problematica, che si nasconde sotto il caso concreto? Bene, il proprietario dell’abitazione, Tizio, che è anche il comodante (il figlio Caio era il comodatario), può rientrare in possesso della casa, quando vuole, oppure deve aspettare la fine delle ragioni (tutela dell’interesse dei figli non autosufficienti a conservare l’habitat familiare, inteso come il centro degli affetti e delle consuetudini, in cui si è espressa la vita della famiglia), che stanno alla base dell’assegnazione giudiziaria dell’immobile alla madre Sempronia?

Poiché un caso concreto passa sempre sotto l’esame dei Giudici, è opportuno esaminare le soluzioni offerte dalla giurisprudenza.

In materia, però, i Giudici non hanno saputo offrire un’unica soluzione, ma ne hanno offerto due completamente diverse.

Una soluzione consentiva al comodante (Tizio) di chiedere per iscritto, ed ottenere, la restituzione dell’abitazione in qualsiasi momento (in questo senso, Trib. Cagliari 14.12.1999, Cass. 04.03.1998 n. 2407, Trib. Palermo 13.06.2003).

Questa prima opinione, infatti, riteneva che la disciplina del comodato prevalesse su quella dell’assegnazione della casa familiare, anche perché si pensava che il comodato (prestito gratuito) dovesse cessare con la fine della vita matrimoniale.

Contemporaneamente altri Giudici (Cass. 10.12.1996 n. 10977) offrivano una soluzione opposta.

Quindi, l’assegnazione della casa familiare avrebbe dovuto prevalere sul comodato. Il comodante avrebbe potuto riottenere la casa, soltanto  se avesse avuto un sopravvenuto urgente ed imprevisto bisogno (cfr. art. 1809 c.c., II comma), come la necessità d’abitarla per ragioni di salute (si pensi ad una casa a piano terra per un disabile).

Questa opinione parte dalla considerazione, opposta a quell’altra, secondo cui un comodato di questo tipo è a tempo indeterminato e, pertanto, le esigenze di protezione dei figli non autosufficienti devono prevalere sulle ragioni del proprietario.

Generalmente, quando tra i Giudici si radicano opinioni contrastanti, la Suprema Corte (Corte di Cassazione) interviene a risolvere il conflitto, pronunciando un provvedimento a Sezioni Unite (si precisa che normalmente la Cassazione è divisa in più sezioni, ognuna competente in una specifica materia).

Bene, il provvedimento delle Sezioni Unite è arrivato il 21.07.2004 con il n. 13603 e come segue è testualmente massimato:

“Quando un terzo (nella specie: il genitore di uno dei coniugi) abbia concesso in comodato un bene immobile di sua proprietà, perché sia destinato a casa familiare, il successivo provvedimento – pronunciato nel giudizio di separazione o di divorzio – di assegnazione in favore del coniuge (nella specie: la nuora del comodante) affidatario di figli minorenni o convivente con figli maggiorenni non autosufficienti senza loro colpa, non modifica né la natura né il contenuto del titolo di godimento sull’immobile, atteso che l’ordinamento non stabilisce una “funzionalizzazione assoluta” del diritto di proprietà del terzo a tutela di diritti, che hanno radice nella solidarietà coniugale o postconiugale, con il conseguente ampliamento della posizione giuridica del coniuge assegnatario. Infatti, il provvedimento giudiziale di assegnazione della casa, idoneo ad escludere uno dei coniugi dalla utilizzazione in atto e a “concentrare” il godimento del bene in favore della persona dell’assegnatario, resta regolato dalla disciplina del comodato negli stessi limiti, che segnavano il godimento da parte della comunità domestica nella fase fisiologica della vita matrimoniale. Di conseguenza, ove il comodato sia stato convenzionalmente stabilito a termine indeterminato (diversamente da quello nel quale sia stato espressamente ed univocamente stabilito un termine finale), il comodante è tenuto a consentire la continuazione del godimento per l’uso previsto nel contratto, salva l’ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto bisogno, ai sensi dell’art. 1809 c.c., secondo comma”.

In poche parole, le Sezioni Unite hanno offerto una soluzione intermedia.

La premessa è che la cessazione del matrimonio non muta alcunché a proposito della disciplina del comodato rispetto a quanto avveniva durante il rapporto di matrimonio.

La conclusione è che sia durante il matrimonio sia dopo l’assegnazione della casa familiare al coniuge affidatario del figlio non autosufficiente, il proprietario comodante (nel nostro caso, Tizio) può ottenere la restituzione dell’abitazione soltanto in ipotesi di sopravvenienza di un urgente ed impreveduto suo bisogno, ai sensi dell’art. 1809 c.c., secondo comma.

Invece, soltanto se il prestito della casa è stato espressamente e chiaramente sottoposto ad un termine (cessazione della vita matrimoniale), allora il comodante può ottenere la restituzione dell’immobile immediatamente con una sua semplice richiesta, quando la vita matrimoniale cessa.

Le Sezioni Unite hanno dato importanza rilevante alla volontà del proprietario – comodante. Soltanto se vuole esprimere chiaramente il legame tra comodato e durata del matrimonio, dopo che questo cessa, potrà chiedere la restituzione della casa all’assegnatario (genitore affidatario) in ogni momento.

Le pronunce delle Sezioni Unite dovrebbero eliminare i conflitti tra i Giudici. Invece, i conflitti sull’argomento sono perdurati.

Infatti, Cass. 07.07.2010 n. 15986 ha stabilito che, in ogni caso, il proprietario della casa può chiederne la restituzione, quando vuole. Al contrario, implicitamente Cass. 14.02.2012 n. 2103 stabilisce che, in ogni caso, il comodato dura per tutta la durata dell’assegnazione giudiziaria della casa al genitore affidatario del figlio non autosufficiente.

A mio modesto avviso, quast’ultima soluzione è criticabile, perché contiene una “limitazione a tempo illimitato” al diritto di proprietà o ad altro diritto reale in capo al comodante.

Questa limitazione non è giustificabile, quando il comodante (genitore) è soggetto diverso da uno dei coniugi (figlio/a), poiché costui riceverebbe, come corrispettivo di un aiuto altruistico, la difficoltà o l’impossibilità di rientrare in possesso del suo immobile.

La stessa sentenza n. 13603 del 2004 inizialmente afferma che il provvedimento giudiziale dell’assegnazione è inidoneo ad incidere negativamente ed in modo diretto su una situazione, facente capo ad un soggetto estraneo al giudizio, nel quale è disposta l’assegnazione. Più in particolare afferma che non può “ipotizzarsi una funzionalizzazione assoluta del diritto di proprietà di un terzo a tutela di diritti, che hanno la loro radice nella solidarietà coniugale o postconiugale”.

In altri termini, afferma che le ragioni del proprietario – comodante non possono essere sottomesse totalmente alle ragioni della solidarietà familiare.

Ancora la sentenza afferma che “un’opzione interpretativa, che privasse in modo assoluto il comodante proprietario, che ha già rinunciato ad ogni rendita sul bene in favore della comunità familiare, della possibilità di disporne fino al momento, peraltro, imprevedibile all’atto della conclusione dell’accordo, del raggiungimento dell’indipendenza economica dell’ultimo dei figli conviventi con l’assegnatario, si risolverebbe in una sostanziale espropriazione delle facoltà e dei diritti connessi alla sua titolarità dell’immobile, con evidenti riflessi sulla sfera costituzionale della tutela del risparmio e della sua funzione previdenziale”.

In questo passaggio la sentenza denuncia un’espropriazione a carico del proprietario – comodante, con risultati negativi sull’economia, se si dovesse costringere ad aspettare, per ritornare in possesso dell’immobile, l’indipendenza economica (cioè, la possibilità astratta d’andare ad abitare in una propria casa) di tutti i nipoti beneficiari della medesima.

Risultato di queste premesse è, secondo la Cassazione, la necessità d’applicare la normativa del comodato, per stabilire quali diritti ed obblighi abbia l’assegnatario della casa familiare verso il comodante.

Alla fine, però, le Sezioni Unite illogicamente ed impropriamente s’allontanano da queste condivisibili premesse, provocando un’espropriazione dei diritti reali del comodante – proprietario, la quale è incompatibile con la normativa e con i principi richiamati dalla Corte.

Si sfida chiunque ad affermare che concedere un proprio immobile ad un determinato soggetto, per consentirgli di viverci con il coniuge ovvero con gli eventuali figli, possa essere manifestazione di una volontà diretta a creare una “casa familiare”.

Ancora di più, sarebbe “fantadiritto”, offensivo dell’autonomia privata, far derivare da tale generosità la conseguenza che, fino alla morte di uno dei coniugi ovvero fino all’indipendenza economica della prole (momenti in cui cesserebbe la “casa familiare”), non sarebbe possibile richiedere la restituzione del bene ai sensi degli artt. 1809 e 1810 c.c.

È possibile aggiungere che la destinazione a “casa familiare” non è intrinseca ad un immobile, ma dipende dalle scelte dei coniugi. Da ciò conseguono due circostanze.

Innanzi tutto, non è possibile fare riferimento all’uso dell’immobile (destinazione a casa coniugale e postconiugale), per determinare la durata del comodato (ipotesi possibile soltanto per l’uso intrinseco del bene).

Inoltre, conseguenza di quanto deciso dalla Cassazione è che il comodante sarebbe in una posizione di passiva soggezione rispetto ai coniugi. Questi sarebbero liberi di fare cessare la destinazione dell’immobile altrui a “casa familiare” (per es., andando ad abitare altrove), mentre al titolare di un diritto reale sull’immobile questa scelta sarebbe assolutamente preclusa.

Ciò non basta. Il comodante riceverebbe un trattamento peggiore rispetto a quello di un eventuale successivo acquirente, il quale, in mancanza di trascrizione, deve subire l’assegnazione della casa familiare per un periodo non superiore a nove anni, mentre il primo sarebbe soggetto agli arbitri dei coniugi.

L’impostazione contestata, inoltre, non poggia su alcuna norma positiva. La medesima, infine, obbliga il comodante a restare privo dell’immobile per un atto d’altruismo, sin quando i coniugi così decidano ovvero fino a quando muoia uno di loro o cessino le ragioni di tutela della prole non autosufficiente.

In conclusione, è preferibile aderire alle ragioni di tutela della proprietà, poiché quelle, sia pur legittime e fondate, di tutela della famiglia ne limiterebbero indefinitamente la naturale espansione.

Avv. Luca Larato

 

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