Una lettera non interrompe l’usucapione dato che i casi di interruzione sono tassativamente previsti dalla legge

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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 25764/2015, ha stabilito che il soggetto che possiede un bene per un certo numero di anni per cui può diventarne legittimo proprietario grazie all’usucapione, non può vedersi interrotto il termine nel caso dovesse inviare una lettera con l’intenzione di voler in futuro diventare proprietario del bene dal presunto titolare.

Per la Cassazione,  le condizioni interruttive dell’usucapione sono tassativamente indicate dalla norma e non si può fornire alcuna lettura estensiva. Quindi si possono distinguere due ipotesi di interruzione del possesso ad usucapionem: interruzione naturale e interruzione civile. Ricorre la prima ipotesi allorchè il possessore sia stato privato del possesso per oltre un anno per fatto di un terzo (ad esempio in conseguenza di uno spoglio di un bene).

Si tratta, invece, di interruzione civile, ogni volta in cui contro il possessore sia stata esercitata una domanda giudiziale tesa a contestare la legittimità del potere esercitato sulla cosa (siano esse azioni di rivendica e/o di restituzione). Alla luce di queste considerazioni e sulla base del rinvio agli articoli 1165 e 2943 del cc, risultano tassativamente elencati gli atti interruttivi del possesso e quindi non è consentito attribuire efficacia interruttiva ad atti diversi da quelli stabiliti dalla legge, per quanto con essi si sia inteso manifestare la volontà di conservare il diritto, in quanto la tipicità dei modi di interruzione della prescrizione non ammette equipollenti.

Si arriva pertanto all’enunciazione del principio secondo cui «la semplice consapevolezza del possessore circa la spettanza ad altri del diritto da lui esercitato come proprio non è infatti sufficiente al fine del riconoscimento idoneo a interrompere il termine ultimo ad usucapire essendo necessario che il possessore per il modo in cui questa conoscenza è rivelata o per il fatto in cui essa è implicita, esprima la volontà non equivoca di attribuire il diritto reale al suo titolare».

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