Famiglia-Separazione personale-Abitazione-Assenza di figli affidati o conviventi-Assegnazione della casa familiare al coniuge non proprietario o titolare di altro diritto di godimento sul bene-Ammissibilità-Esclusione-Fondamento – Cass.Civ.Sent. 1491/2011

Famiglia – Separazione personale dei coniugi – Abitazione – Assenza di figli affidati o conviventi – Assegnazione della casa familiare al coniuge non proprietario o titolare di altro diritto di godimento sul bene – Ammissibilità – Esclusione – Fondamento. In tema di separazione personale dei coniugi, la disposizione di cui all’art. 155, quarto comma, cod. civ. (nella formulazione previgente), che attribuisce al giudice il potere di assegnare la casa familiare al coniuge affidatario che non vanti alcun diritto di godimento (reale o personale) sull’immobile, ha carattere eccezionale ed é dettata nell’esclusivo interesse della prole; pertanto, detta norma non é applicabile al coniuge, ancorché avente diritto al mantenimento, in assenza di figli affidati minori o maggiorenni non autosufficienti conviventi, potendo, in tal caso, il giudice procedere all’assegnazione della casa coniugale unicamente nell’ipotesi di comproprietà dell’immobile. Corte di Cassazione Sez. 1, Sentenza n. 1491 del 21/01/2011

Corte di Cassazione Sez. 1, Sentenza n. 1491 del 21/01/2011

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza dell’8 agosto 2006, la Corte di appello di Firenze, in riforma della decisione del Tribunale di Prato del 17 ottobre 2005 che, su ricorso di R.P..C. del 26 giugno 1999, aveva pronunciato la separazione giudiziale del ricorrente dalla moglie M.G..B. , assegnando la casa familiare a questa ultima e ponendo a carico del marito e a favore della moglie un assegno mensile di mantenimento di Euro 516,46, ha accolto i gravami principale dell’uomo e incidentale della donna, ed ha revocato l’assegnazione dell’abitazione coniugale a quest’ultima, che non ne era proprietaria, e ha addebitato al marito la separazione per effetto della violazione da parte dello stesso del dovere di fedeltà coniugale.

La Corte di merito ha ritenuto fondato il gravame del C. che aveva dedotto che in mancanza dei figli, minori o maggiorenni conviventi con la B. , la cui presenza avrebbe giustificato l’assegnazione della casa familiare a lei, anche se non era proprietaria dell’immobile, il godimento di questo doveva attribuirsi al solo appellante principale che ne era il titolare. Il titolo di proprietà prevale sempre, ad avviso dei giudici di merito, rispetto a qualsiasi posizione di particolare difficoltà economica del coniuge non proprietario e l’assegnazione della casa familiare non può concorrere a formare il contributo economico o assegno a carico del coniuge economicamente più forte perché tenuto a contribuire al mantenimento dell’altro coniuge.

Veniva accolto anche l’appello incidentale della B. , avendo la Corte d’appello ritenuto che dalla testimonianza di A..V. , la cui moglie attualmente conviveva con il C. , poteva desumersi che quest’ultimo ha violato gli obblighi di fedeltà coniugale, avendo acquistato in comunione con l’altra donna ora indicata una casa, con condotta che aveva causato la intollerabilità della prosecuzione della convivenza tra i coniugi, provocando la separazione, da addebitare al marito per violazione del dovere di fedeltà coniugale.
Per la cassazione della sentenza che precede, notificata il 9 gennaio 2007, la B. ha proposto ricorso di un unico motivo, notificato il 9 marzo 2007 al C. , che resiste in questa sede con
controricorso e ricorso incidentale di un motivo, notificato il 9 aprile 2007, cui replica, con controricorso notificato il 14-15 maggio 2007, la B. .

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente vanno riuniti i procedimenti sorti sui distinti ricorsi, principale e incidentale, proposti contro la medesima sentenza ex art. 335 c.p.c..
1.1. Il motivo del ricorso principale della B. deduce violazione dell’art. 155 c.c., comma 4, nel testo precedente alla modifiche di cui all’art. 155 quater introdotto dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, vigente durante l’intera vita matrimoniale dei coniugi, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, avendo la Corte di merito revocato l’assegnazione della casa coniugale in XXXXX in favore della ricorrente, per la mancanza di figli che ne potessero fruire anche se maggiorenni e conviventi con la madre, non potendosi dare rilievo ai riflessi economici di tale assegnazione del godimento dell’immobile, ma dovendosi tener conto in tale attribuzione del diritto di abitazione della sola tutela dell’interesse della prole a conservare l’ambiente di vita in cui ha vissuto con i genitori.

La ricorrente richiama alcune sentenze che hanno ritenuto, anche in assenza di figli, che l’assegnazione della casa familiare possa essere utilizzata come strumento di perequazione, per contribuire al mantenimento del coniuge più debole perché privo di adeguati redditi propri, come risulterebbe consentito in sede di divorzio dalla L. 6 marzo 1987, n. 74, art. 11 (oggi comma sesto della L. n. 878 del 1970, art. 6, come poi modificato), che, dopo avere affermato che l’assegnazione della casa avviene di preferenza al genitore con cui convivono i figli, sancisce che nell’emettere il relativo provvedimento il giudice dovrà tenere conto delle condizioni economiche delle parti, per cui la Corte di legittimità ha ritenuto in qualche decisione che tale assegnazione possa trovare giustificazione anche nella regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra i coniugi (il ricorso richiama Cass. 7 luglio 1997 n. 6106). A tale disciplina, ad avviso della ricorrente, si avvicina l’art. 155 c.c., comma 4, dato che l’uso della casa familiare incide sul piano economico per la disciplina delle conseguenze della separazione, come integrazione dell’assegno di mantenimento al fine di assicurare tutela al coniuge più debole economicamente. Il quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., così chiude il ricorso: “Dica la Corte se in sede di separazione (in assenza di figli minori ovvero di figli maggiorenni conviventi e di diritti di proprietà sul bene immobile), in base all’art. 155 c.c., comma 4, la casa familiare possa avere assegnata al coniuge, nell’ambito della regolamentazione dei rapporti economici, dovendo l’attribuzione della stessa configurarsi non solo come mezzo di protezione della prole, ma anche come mezzo atto a garantire l’equilibrio delle condizioni economiche dei coniugi nonché la tutela del coniuge più debole, allorquando questo sia privo di redditi e l’altro dichiari entrate tali da non consentirgli di corrispondere quanto è necessario al mantenimento del primo”.

1.2. Il ricorso principale sulla assegnazione della casa familiare al coniuge non proprietario in mancanza dei figli, affidati allo stesso se minori ovvero maggiorenni e bisognosi con lui conviventi, non può essere accolto proprio per il valore non solo economico-patrimoniale ma anche personale e umano che detto immobile assume, per cui del diritto su di esso non può che disporre il suo titolare, che ne può attribuire il godimento a terzi, con propri atti di autonomia (cfr. da Cass. 29 gennaio 1996 n. 652 a Cass. 24 luglio 2007 n. 16398). Le incertezze sul tema dedotte in ricorso attengono di regola a casi di comproprietà dei coniugi sulla casa familiare, che si è ritenuto non consentire di riconoscere una posizione potiore o prevalente di uno di loro, la cui identica situazione soggettiva della titolarità della quota corrispondente alla metà dell’abitazione, ha indotto a tener conto e comparare le posizioni giuridiche dei due coniugi per l’assegnazione della casa (così Cass. 7 luglio 1997 n. 6106 richiamata in ricorso).

Il motivo di ricorso è nel caso infondato in quanto sia l’art. 155 c.c., nella versione previdente abrogata dalla L. 8 febbraio 2006, n. 54, art. 1, che regolava il provvedimento nell’ambito dei “provvedimenti riguardo ai figli” che il vigente art. 155 quater di cui alla novella ora indicata, che disciplina espressamente l’assegnazione della casa familiare, mantengono distinto tale provvedimento da quelli relativi ai rapporti patrimoniali tra i coniugi di cui all’art. 156 c.c..

Deve certamente negarsi che tale diritto di godimento dell’abitazione coniugale, opponibile con la trascrizione anche ai terzi ed incidente quindi sul valore dell’immobile, possa attribuirsi al coniuge non proprietario, con una sorta di rilievo ablativo nei confronti del proprietario esclusivo del bene, il cui diritto viene inciso con la perdita di valore effetto di detta assegnazione, il che può avvenire solo se la stessa è disposta nell’interesse dei figli affidati o conviventi con il genitore assegnatario del diritto di abitazione (in tal senso tra le altre con quelle già citate, cfr. Cass. 11 giugno 2010 n. 14058, 23 novembre 2007 n. 24407, 22 marzo 2007 n. 6979 relativa a casa in comproprietà).
Anche per la L. n. 898 del 1970, art. 6, comma 6, modificato dalla L. n. 84 del 1987, art. 11, che consente di valutare le condizioni economiche dei coniugi nell’assegnare la casa familiare non si deroga al principio generale che vieta in assenza di figli di ledere il diritto di proprietà con l’assegnazione dell’abitazione coniugale a soggetto diverso da chi ne è proprietario (così di recente la cit. Cass. n. 6979/07), per cui il ricorso principale è infondato e da rigettare, dovendo il quesito di diritto ricevere comunque risposta negativa.

2.1. L’unico motivo del ricorso incidentale lamenta omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo, in ordine all’addebito al C. riconosciuto nella separazione dalla Corte d’appello, con una valutazione d’una prova testimoniale del tutto difforme di quella data dal giudice di primo grado, che la stessa prova aveva direttamente assunto.
Riporta la prova orale assunta del teste V.A. nella parte in qui questa ha affermato di sapere che sua “moglie da cui ora” era separato “frequentava il C. e … che presero insieme una casa all'(omesso) . E seppi di certo di ciò nel (omesso) “.

Ad avviso del ricorrente, il fatto che la moglie del V. sua socia in una impresa di lavanderia e stireria da loro gestita, aveva acquisito in comune con lui un appartamento non implicava alcuna relazione adulterina tra lui e la donna, che anzi dal teste non risulta assolutamente riferita e che comunque non sussisteva. Si conclude il ricorso incidentale con il seguente quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.: Dica la Corte se una dichiarazione testimoniale nel senso sopra riportato determini il raggiungimento della prova giudiziale della infedeltà coniugale e dell’addebito conseguentemente riconosciuto a carico del C. “.

2.1. Il ricorso incidentale va dichiarato inammissibile, data la assoluta inidoneità delle sue conclusioni, qualificate dal ricorrente “quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c.” e che dovrebbero essere la sintesi conclusiva del dedotto vizio motivazionale. Tali conclusioni, come il mezzo di impugnazione che chiudono, da un canto non indicano i fatti controversi e decisivi su cui la valutazione dalla Corte di merito sarebbe carente o insufficiente ne’ le ragioni che rendono inidonea la motivazione della sentenza impugnata a giustificare la decisione, e dall’altro non enunciano il principio di diritto erroneamente affermato nel merito e da rettificare con diverso principio proposto dal ricorrente (sulla inammissibilità dei motivi solo tautologici e di quelli privi dell’errore di diritto che intendono dedurre: cfr. Cass. 2 dicembre 2008 n. 28536 e Cass. 25 marzo 2009 n. 7197).

La Corte d’appello ha, con coerenza logica e senza errori giuridici, dedotto dall’acquisto di un’abitazione in comunione con una donna la convivenza del C. con la stessa che attualmente è la sua nuova compagna, desumendo da tali fatti la violazione, dallo stesso, dell’obbligo di fedeltà coniugale e nessuna delle osservazioni del ricorrente sulla condizione di socio della donna in una impresa è idonea a determinare una diversa considerazione dei fatti emersi dalla prova testimoniale; il ricorso incidentale su tale fatto decisivo è quindi inammissibile.

3. Dei ricorsi riuniti, il principale deve rigettarsi e l’incidentale deve essere dichiarato inammissibile; la reciproca soccombenza delle parti giustifica la totale compensazione delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte riuniti i ricorsi, rigetta il principale, dichiara inammissibile l’incidentale e compensa le spese del presente giudizio di cassazione tra le parti.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 14 dicembre 2010. Depositato in Cancelleria il 21 gennaio 2011

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