Famiglia – Filiazione naturale – Dichiarazione giudiziale di paternità – Mantenimento del figlio minore – Pagamenti eseguiti dal nonno in favore del nipote in epoca precedente all’introduzione della causa – Cassazione Civile Sentenza 3916 del 17.02.2011

In materia di mantenimento del figlio minore, i pagamenti spontaneamente eseguiti in favore del nipote dal nonno paterno producono l’effetto, di cui all’art. 1180 cod. civ., di estinguere – anche contro la volontà della creditrice – l’obbligazione del padre, e, quindi, di paralizzare la domanda proposta dalla madre, ai sensi dell’art. 2033 cod. civ., di ripetizione delle somme corrisposte per il mantenimento in epoca precedente all’introduzione della causa. Corte di Cassazione Sez. 1, Sentenza n. 3916 del 17/02/2011

Corte di Cassazione Sez. 1, Sentenza n. 3916 del 17/02/2011

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 21.10.2005, A..B. , madre di S..S. , nato il (omesso) , adiva il Tribunale di Brescia chiedendo che G..S. fosse condannato a contribuire al mantenimento del figlio, da lui riconosciuto il (omesso) , nonché a rimborsarle la metà delle spese da lei esclusivamente sostenute per il minore sin dalla sua nascita, precisando anche che il convenuto solo dal (omesso) le aveva versato un assegno mensile (di Euro 1.000,00 sino a (omesso) epoca dell’introduzione del giudizio). In particolare chiedeva che la chiesta contribuzione per il figlio fosse determinata nella somma mensile di Euro 2,000,00 maggiorata del 50% delle spese straordinarie scolastiche, mediche e sportive e che il rimborso pro quota dei pregressi esborsi ammontasse ad Euro 140.000,00 o ad altra somma ritenuta di giustizia.

Costituitosi in giudizio, il S. chiedeva che il suo contributo al mantenimento del figlio non eccedesse l’importo di Euro 800,00 mensili oltre al rimborso della metà delle documentate spese scolastiche e mediche. Quanto alla domanda di rimborso svolta dalla B. ne eccepiva l’infondatezza, assumendo di averle già corrisposto la complessiva somma di Euro 265.373,52, superiore a quella reclamata; chiedeva in via riconvenzionale la condanna dell’attrice alla restituzione dell’eccedenza Con sentenza del 13.07- 1.08.2007, resa nel contraddittorio delle parti, l’adito Tribunale imponeva al S. , con decorrenza dalla domanda introduttiva, di versare alla B. per il mantenimento del figlio, il contributo economico, annualmente aggiornabile, di Euro 1.200,00 mensili, pari ai 2/3 dell’importo globale di Euro 1.800,00, reputato all’epoca adeguato al soddisfacimento delle esigenze del minore, nonché di pagare il 50% delle documentate spese mediche, scolastiche e straordinarie. Respingeva, invece, la domanda di rimborso svolta dalla B. , rilevando che per il periodo anteriore
all’introduzione del presente giudizio, l’attrice aveva già ricevuto dal S. , per il mantenimento del figlio, L. 150,000.000 all’inizio del 1994 e successivamente Euro 25.000,00, in aggiunta a complessivi Euro 20.155,25 corrisposti dal padre del convenuto (dal (omesso) , epoca del suo decesso), somme che, sebbene elargite in modo discontinuo ed episodico, complessivamente superavano l’importo da lei preteso in restituzione.

Con sentenza del 23.12.2009 – 8.01.2010, la Corte di appello di Brescia respingeva il gravame principale della B. , articolato in cinque motivi, e riteneva assorbito l’appello incidentale subordinato svolto dal S. .
Avverso questa sentenza, notificatale il 12-15.02.2010, la B. ha proposto ricorso per cassazione notificato il 14.04.2010 ed affidato a cinque motivi. Il S. non ha svolto attività difensiva.

MOTIVI DELLA DECISIONE

A sostegno del ricorso la B. denunzia:
1. “Violazione dell’art. 155 cod. civ. novellato, dell’art. 148 cod. civ., dell’arlt. 115 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.
Censura l’entità dell’assegno di mantenimento posto a carico del S. , dolendosi essenzialmente che la Corte distrettuale:
abbia escluso rilievo, per la prevalente convivenza con il padre, al fatto che lei provvedesse, anche al mantenimento del suo primo figlio E. , nato (il (omesso) ) dalla sua unione coniugale ormai sciolta e ciò nonostante che fosse stato da lei provato, a mezzo sia del certificato anagrafico di stato di famiglia che delle deposizioni testimoniali (testi G. e B.O. ), la convivenza di entrambi i figli con lei ed il fatto che contribuisse pure al mantenimento del primo – non abbia valutato ne’ i redditi lavorativi delle parti, pari nel XXXX per lei, medico ospedaliero, ad Euro 50.000,00 netti annui, e per il S. , primario ospedaliero, ad Euro 120.000,00 ne’ la composizione dei rispettivi nuclei familiari, e segnatamente il fatto che mentre lei doveva provvedere a due figli economicamente non autonomi, il S. , invece, non doveva sostenere analoghi oneri ed anzi, beneficiava anche dell’apporto economico della moglie, dotata di proprio reddito professionale non abbia accertato la consistenza del patrimonio personale del S. , essendosi limitata a rilevarne la rilevanza senza chiarire l’entità delle risorse economiche di cui lo stesso poteva fruire, comprensive dei beni pervenutagli per successione ereditaria paterna;
– non abbia disposto d’ufficio indagini della guardia di finanza, come previsto dal novellato art. 155 c.c., u.c., ne’ nei confronti del S. ne’ in ordine ai conti correnti e comunque ai rapporti bancari intrattenuti dal suo defunto padre;
– non abbia considerato le risorse ed il tenore di vita del S. alle quali avrebbe dovuto parametrare la contribuzione per il figlio. Conclusivamente assume che la sentenza di primo grado è stata sul punto confermata senza alcuna ricostruzione del patrimonio del S. e senza alcuna valutazione dei redditi lavorativi delle parti, sicché essa non consente di rapportare il determinato assegno alle risorse ed al tenore di vita del medesimo S. . Il motivo non merita favorevole apprezzamento.

La ricorrente infondatamente addebita ai giudici di merito violazioni di legge e vizi motivazionali essenzialmente ricondotti ad errori valutativi e che sostanzialmente si risolvono o in critiche generiche o in rilievi smentiti dal contenuto dell’avversata pronuncia, sia pure perché frutto di travisamento della portata delle avversate argomentazioni.

Nel giudizio di appello, che non è un novum iudicium, la cognizione del giudice resta circoscritta alle questioni dedotte dall’appellante attraverso specifici motivi e nel respingerli la sentenza conclusiva ben può fare proprie le argomentazioni del primo giudice, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto.

Nella specie, i giudici d’appello hanno confermato la quantificazione dell’apporto paterno, condividendo, previo debito riesame, gli argomenti che nella sentenza di primo grado giustificavano tale determinazione. Al riguardo non hanno escluso, come dedotto dalla B. , che lei dovesse contribuire anche al mantenimento dell’altro suo figlio, dato evidentemente già apprezzato dal primo giudice, ma solo ritenuto, non illogicamente, che l’assolvimento di tale obbligo, negli emersi termini di convivenza prevalente del figlio con il padre, non inficiasse le già espresse valutazioni, anche comparative.

Per il resto, i profili della doglianza si rivelano inammissibili per genericità se involgenti l’insufficienza dell’importo globale stimato per il mantenimento del minore, risultando anche muti in ordine alle presumibili esigenze del figlio rimaste insoddisfatte, e privi di pregio per la parte inerente alla mancata verifica delle effettive condizioni economiche paterne che, invece, i giudici di merito risultano avere puntualmente analizzato e su cui appaiono avere adeguatamente argomentato (pag. 10 – 11 pronuncia), implicitamente fondandosi sugli estremi fattuali emersi in primo grado e segnatamente sui dati fiscali inerenti al complesso dei redditi anche immobiliari di pertinenza di ciascuna parte ed atti a dimostrare le rispettive condizioni economiche, dati di cui relativamente al S. , la ricorrente nemmeno evidenzia incompletezze ed inattendibilità.

D’altra parte, come noto (tra le altre, Cass. 2005/10344), l’esercizio del potere di disporre indagini patrimoniali con l’avvalimento della polizia tributaria, che costituisce una deroga alle regole generali sull’onere della prova, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, e non può essere considerato anche come un dovere imposto sulla base della semplice contestazione delle parti in ordine alle loro rispettive condizioni economiche. Trattandosi poi di potere discrezionale demandato al giudice di merito, l’omissione di motivazione sul diniego del relativo esercizio non è censurabile in sede di legittimità ove sia pure per implicito il diniego sia logicamente correlabile ad una valutazione di superfluità dell’iniziativa per ritenuta sufficienza dei dati istruttori acquisiti.

2. “Omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 5”, inerente alla ripartizione delle spese straordinarie relative al figlio, attuata in quote paritarie, criterio diverso da quello applicato per il contributo economico.

Il motivo non ha pregio posto che la ripartizione paritaria tra i genitori delle spese straordinarie inerenti al figlio risulta corrispondere alla domanda sul punto svolta da entrambe le parti.

3. “Violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., dell’art. 2697 c.c., dell’art. 261 c.c., dell’art. 115 cod. civ. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”. Si duole che non sia stata accolta la sua domanda di rimborso pro quota delle spese da lei esclusivamente sostenute per il mantenimento del figlio dalla sua nascita ed in particolare avversa l’imputazione a tale titolo delle due dazioni di denaro per complessive L. 150.000.000, ricevute dal S. , a mezzo di due assegni bancari, nel (omesso) . Ribadisce che tali elargizioni erano state effettuate a diverso titolo ossia per ristrutturare un suo immobile e deduce che non sono state considerate le emerse risultanze istruttorie (poi ricondotte alla deposizione del fratello B.O. ) ne’ il fatto che all’epoca il minore pur nato, non era stato ancora riconosciuto dal padre, sicché non era ancora sorto per quest’ultimo alcun obbligo giuridico di mantenimento. La censura non è fondata.

Se da un canto alla trascritta deposizione resa dal B.O. non può essere attribuita alcuna decisività, perché in parte estremamente generica ed in parte da ricondurre all’ambito delle testimonianze de relato actoris a quest’ultimo favorevoli, come tali prive di qualsiasi efficacia probatoria (cfr Cass. 1976/02718; 1978/047079), dall’altro non solo è rimasta incensurata affermazione, peraltro ineccepibile, secondo cui in ogni caso all’epoca ben poteva il S. assolvere la sua obbligazione naturale di mantenimento del figlio non ancora da lui riconosciuto ma, inoltre, l’imputazione dell’elargizione al mantenimento del figlio appare ulteriormente e congruamente argomentata dal rilievo che di contro si sarebbe trattato di cospicua e, dato il contesto, non verosimile liberalità in favore della B. . Conseguentemente l’avere il S. spontaneamente assolto detta obbligazione naturale, quand’anche in forma non periodica, in assenza di accordo economico scritto con la ricorrente e senza chiarire il periodo di riferimento, ha in effetti in ogni caso precluso alla B. di agire in ripetizione ex art. 2033 cod. civ. per pari importo, non anticipato o comunque già rimborsato.

4. “Violazione dell’art. 456 c.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
insufficiente contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″.
La B. contesta che l’obbligo del S.G. di mantenimento del figlio possa essere venuto meno tramite le dazioni effettuate da suo padre nel periodo decorso dal 1999 al 2002, assumendo che i pagamenti effettuati dal nonno paterno in favore del nipote non erano sostitutivi dell’obbligo di mantenimento gravante sul figlio S.G. e che non potevano ritenersi estintivi stante la spontaneità delle dazioni e la loro non riconducibilità all’istituto della delegazione di pagamento. La censura già per come prospettata non ha pregio, posto che, non essendo contestata la destinazione dei pagamenti effettuati dal nonno paterno al mantenimento del nipote, la relativa spontanea esecuzione avrebbe in ogni caso determinato, ai sensi dell’art. 1180 cod. civ., l’estinzione dell’obbligo del S. , anche contro la volontà della creditrice B. , che, pertanto, per l’importo corrispondente a quello ricevuto dal terzo non avrebbe in ogni caso potuto vedersi accolta la domanda di ripetizione ex art. 2033 cod. civ..

5. “Nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per omessa pronuncia in relazione all’art. 112 c.p.c.”. Relativamente alla imputazione anche della somma di Euro 25.000,00 a mantenimento del minore, si duole che la Corte distrettuale non abbia valutato il sesto ed il settimo motivo di appello con cui aveva contestato che il documento acquisito tramite l’ordine di esibizione di cui all’art. 210 c.p.c., fosse idoneo a provare che il versamento da lei eseguito il 19.04.2004, sul suo conto corrente, fosse stato effettuato con denaro non proprio ma elargitole dal S. per il mantenimento del figlio.
Il motivo è inammissibile, in quanto, in violazione del principio di autosufficienza del ricorso, la ricorrente non richiama ne’ trascrive il passo del suo atto d’appello con cui in tesi avrebbe dedotto i due motivi che assume non delibati dai giudici di merito, motivi che dall’impugnata sentenza non risultano affatto proposti. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto.
Non deve statuirsi sulle spese del giudizio di legittimità, stante il relativo esito ed il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, il 18 gennaio 2011.
Depositato in Cancelleria il 17 febbraio 2011

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