Caro Papà…La figlia ingrata si tiene la casa che gli “hai regalato” Cass.Civ. 7487/2011
Corte di Cassazione Sentenza n. 7487 del 2011
La Corte di Cassazione con la sentenza numero 7487/11 ha rigettato il ricorso di un uomo per la revoca di una donazione, per la presunta ingiuria grave subita ad opera della propria figlia, sostenendo che nel lontano 1991 aveva “prestato” alla stessa i soldi per comperare una villatta che veniva destinata a casa familiare. Trascorsi però alcuni mesi, la convivenza tra i genitori si rivelava intollerabile al punto tale la moglie avviava il procedimento di separazione giudiziale terminato con l’assegnazione in suo favore della casa. Alla luce di ciò, l’ “ingrata figlia”, invitava il padre ad abbandonare definitivamente l’ abitazione;
il genitore, sentitosi “ferito” dal comportamento della figlia, replicava instando per la revoca della donazione quale conseguenza dell’ingiuria grave subita, chiedendo in aggiunta, che gli venisse riconosciuto il diritto di comproprietà al 50%, oltre alla condanna al risarcimento dei danni subiti.
Dopo che i due giudizi di merito gli avevano dato torto, l’uomo adiva la Corte di Cassazione sottolineando che gli estremi dell’ingiuria grave non sarebbero stati ostacolati dalla valutazione della sussistenza delle motivazioni che avevano portato la figlia a promuovere la diffida al genitore donante a lasciare l’alloggio oggetto della liberalità. La richiesta di allontanamento del padre, privo di adeguati redditi e di sistemazioni abitative, avrebbe costituito una ingiuria grave, «non sussistendo margini per interpretazioni giustificatrici capaci di eliderne il disvalore morale».
Il Giudice di legittimità ha rigettato le tesi difensive dell’uomo, chiarendo: a) che l’ingiuria grave consiste in un comportamento suscettibile di ledere in modo rilevante il patrimonio morale del donante ed espressivo di un reale sentimento di avversione da parte del donatario, tale da ripugnare alla coscienza collettiva; b) che, nel caso in esame, i giudici di merito avevano correttamente escluso la sussistenza degli elementi costituitivi della colpa grave.
Per la Cassazione, l’invito formale ad abbandonare la casa “familiare” non può essere intesa quale «manifestazione di un atteggiamento di disistima delle qualità morali» del genitore, o «di mancanza di rispetto nei suoi confronti», né «come un affronto animoso contrastante con il senso di riconoscenza e di solidarietà che, secondo la coscienza comune, deve improntare il comportamento della figlia donataria»; bensì «come presa d’atto della frattura tra i genitori, dipendente dalla loro disaffezione e distacco spirituale, e, quindi, del sopravvenire di una condizione tale da rendere incompatibile la prosecuzione della convivenza».