In caso di Danno biologico da mobbing, la valutazione deve essere autonoma da parte dell’Inail

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La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8243 del 26 aprile 2016, ha stabilito che in caso di infortunio sul lavoro, la liquidazione degli indennizzi operata dall’Inail non si effettua secondo gli ordinari criteri civilistici ma in base ai parametri, alle tabelle e alle regole proprie stabilite dal sistema assicurativo e per conseguire i fini previsti dall’articolo 38 della Costituzione.

Lo ha stabilito accogliendo il ricorso di un lavoratore che chiedeva il riconoscimento della malattia professionale derivante da mobbing.

Il giudice di merito, all’opposto, nei due gradi di giudizi,  aveva bocciato il ricorso ritenendo che la percentuale di danno biologico – pari al 5% – fissata dal giudice nella diversa causa di risarcimento contro il datore di lavoro, dovesse applicarsi anche nei riguardi dell’Inail, restando così sotto la soglia minimia individuata per la tutela assicurativa da parte dell’istituto.
Di diverso avviso la Suprema corte che, in primo luogo, ricorda come nella domanda all’Inail il ricorrente avesse chiesto di rideterminare l’entità dei danno biologico ai sensi dell’articolo 13 del Dlgs 38/2000. Sostenendo anche che il mancato ricorso in Cassazione nella causa contro il datore non poteva produrre l’effetto di cristallizzare la percentuale del danno biologico. Infatti, spiegano i giudici di legittimità, l’Inail è terzo rispetto alla prima causa; e, in ogni caso, la determinazione del danno biologico «non si effettua con i medesimi criteri valevoli in sede civilistica atteso che in sede previdenziale vanno osservate obbligatoriamente le tabelle delle invalidità (“Tabella delle menomazioni”; “Tabella indennizzo danno biologico”; “Tabella dei coefficienti”) di cui al Dm 12 luglio 2000, e successivi aggiornamenti».

In caso di danno biologico derivante da infortuni sul lavoro e malattie professionali, infatti, l’Inail «in luogo della prestazione di cui all’articolo 66, comma 1, n. 2), del Testo Unico, eroga l’indennizzo previsto dall’articolo 13, 2° comma lett a) del Dlgs n. 38/2000 sulla base della specifica “tabella delle menomazioni”, comprensiva degli aspetti dinamico-relazionali». La Corte ha così cassato la sentenza impugnata, rinviando la causa alla Corte d’Appello di Torino la quale una volta accertata la sussistenza dei presupposti dovrà rideterminare le conseguenze.

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